[111] Le antiche città della Turchia - specialmente di epoca greca e romana - sono numerosissime, molto ben conservate e restaurate, e possiedono delle vestigia monumentali che sono tra le più belle del mondo. Gran parte dei siti archeologici si trovano lungo la costa dell’Egeo, nelle regioni dove affluirono intorno all XI sec a.C. i mercanti Ioni, che nel corso dei secoli mantennero stretti rapporti con la Grecia e con le isole circostanti. Le città dell’Anatolia occidentale divennero così una finestra aperta sul continente europeo, un luogo d’incontro tra Oriente e Occidente, il cui possesso era spesso causa di aspri conflitti tra le potenze dell’epoca. [1111] Abitata in età arcaica da popolazioni autoctone dell’Anatolia, Pergamo divenne roccaforte persiana nel VI sec. a.C., ma soltanto con la conquista macedone avvenuta alla fine del IV sec. a.C. la città diventò uno dei centri di potere più autorevoli del mondo mediterraneo. [11111] La fortuna di Pergamo inizia con un immenso tesoro, la cassa di stato dei Macedoni che il generale Lisimaco, fedele compagno d’armi di Alessandro Magno, aveva affidato ad un condottiero di Pergamo, di nome Phileteiros. Alla morte di Lisimaco nel 281 a.C., Phileteiros si appropria dell’enorme somma - 9.000 talenti che potremmo valutare oggi in diversi milioni di dollari - per creare il regno indipendente di Pergamo, dando origine alla dinastia degli Attalidi. Per un secolo e mezzo i re di Pergamo si ergono a difensori della cultura e della civiltà ellenistica in Anatolia, riuscendo a stroncare l’avanzata dei Galati, una popolazione celtica calata dai Balcani per occupare le regioni settentrionali dell’Asia Minore. Per commemorare la vittoria degli Attalidi sui Galati vennero eretti dei grandiosi monumenti: un colossale gruppo scultoreo nel Santuario di Atena del quale conosciamo alcune copie di epoca romana come il Galata morente e il Galata suicida con la moglie, conservate oggi nei Musei Capitolini di Roma, e un grande Altare dedicato a Zeus che celebrava il trionfo dell’Ellenismo sulla barbarie. Il trattato di pace con Roma assicura agli Attalidi l’indipendenza del regno che, alla fine del II sec. a.C., si estende dall’Ellesponto alla Cappadocia, fino al confine con la Siria. [11121] Uno dei monumenti più celebri di Pergamo è l’Altare di Zeus, eretto nella prima metà del II sec.a.C. e ornato dagli splendidi rilievi dello scultore greco Firomaco. L’Altare verrà smantellato in epoca bizantina e le sue pietre serviranno per costruire le mura della cittadella. La riscoperta di Pergamo e del suo Altare si devono all’ingegnere tedesco Carl Humann il quale - incaricato nel 1873 della costruzione di una strada nella Bergama turca - riuscì a recuperare alcune lastre di marmo con rilievi finemente scolpiti che suscitarono la curiosità degli archeologi che giunsero da Berlino per iniziare gli scavi. Dalle rovine del muro bizantino vennero asportati tutti i fregi, i frammenti marmorei e i rocchi di colonne e poi trasferiti in Germania. Qui venne ricomposto l’Altare di Zeus nel Pergamon Museum di Berlino, appositamente costruito. Ora, sull’acropoli di Pergamo non sono rimasti che i gradini del colossale Tempio. Per lungo tempo si è creduto che le possenti figure dei bassorilievi illustrassero una Gigantomachia, ma secondo gli ultimi studi si tratterebbe invece della celebrazione dei combattimenti vittoriosi degli Attalidi con i Galati: le figure colossali del fregio non sarebbero altro che i guerrieri Galati, che nell’iconografia antica venivano rappresentati come superuomini dalla corporatura gigantesca, resi ancor più temibili da una criniera dritta e irsuta, poiché i Galati usavano bagnarsi i lunghi capelli con gesso liquido. Uno dei monumenti più celebri di Pergamo è l’Altare di Zeus, eretto nella prima metà del II sec.a.C. e ornato dagli splendidi rilievi dello scultore greco Firomaco. L’Altare verrà smantellato in epoca bizantina e le sue pietre serviranno per costruire le mura della cittadella. La riscoperta di Pergamo e del suo Altare si devono all’ingegnere tedesco Carl Humann il quale - incaricato nel 1873 della costruzione di una strada nella Bergama turca - riuscì a recuperare alcune lastre di marmo con rilievi finemente scolpiti che suscitarono la curiosità degli archeologi che giunsero da Berlino per iniziare gli scavi. Dalle rovine del muro bizantino vennero asportati tutti i fregi, i frammenti marmorei e i rocchi di colonne e poi trasferiti in Germania. Qui venne ricomposto l’Altare di Zeus nel Pergamon Museum di Berlino, appositamente costruito. Ora, sull’acropoli di Pergamo non sono rimasti che i gradini del colossale Tempio. Per lungo tempo si è creduto che le possenti figure dei bassorilievi illustrassero una Gigantomachia, ma secondo gli ultimi studi si tratterebbe invece della celebrazione dei combattimenti vittoriosi degli Attalidi con i Galati: le figure colossali del fregio non sarebbero altro che i guerrieri Galati, che nell’iconografia antica venivano rappresentati come superuomini dalla corporatura gigantesca, resi ancor più temibili da una criniera dritta e irsuta, poiché i Galati usavano bagnarsi i lunghi capelli con gesso liquido. [11131] Durante il regno degli Attalidi, Pergamo venne colmata di splendidi monumenti, ginnasi, templi e una vasta biblioteca con 200.000 volumi, requisiti in seguito da Marcantonio per colmare il vuoto lasciato dalla Biblioteca di Alessandria d’Egitto andata in fiamme. Tutt’altro che scoraggiata da questo furto, Pergamo continuò la sua battaglia culturale e, quando l’Egitto bloccò l’esportazione del papiro, gli artigiani di Pergamo inventarono un nuovo tipo di rotoli per scrittura, fatto di sottili fogli di pelle di capra che entrò nella storia con il nome di pergamena. Gli Attalidi adottarono la cultura ellenistica ma proseguirono una politica favorevole ai Romani e nel 133 a.C. l’ultimo re, Attalo III, lasciò un testamento con il quale consegnò definitivamente Pergamo nelle mani di Roma. [11141] La fortuna di Pergamo continuò sotto la dominazione romana e la città divenne un fiorente centro agricolo e commerciale, abitato nel momento di maggiore espansione da 120.000 persone. Il Santuario di Asclepio, uno dei centri di cura più rinomati dell’antichità, era visitato da migliaia di pellegrini e anche numerosi imperatori - Adriano, Marco Aurelio e Caracalla - si sono affidati alle mani degli esperti guaritori, tra cui il grande medico Galeno, autore di importanti trattati scientifici, pervenuti a noi nella trascrizione araba. L’acropoli di Pergamo, rivolta verso la fertile piana come il palmo protettivo di una mano, è colma di grandiosi edifici, tra cui spicca il Traianeum, costruito nel 120 d.C. per l’imperatore divinizzato Traiano e visibile da lontano per la lucentezza delle sue colonne di marmo bianco. Il teatro ellenistico venne ristrutturato in epoca romana e nella sua ripida cavea, alta 36 metri, poteva ospitare fino a 30.000 spettatori. L’imperatore Caracalla fece rinnovare il Tempio ionico di Dioniso, in quanto amava fregiarsi del nome di nuovo Dioniso. I monumenti romani sono in parte sopravvissuti alle distruzioni del tempo, mentre dei quattro palazzi che formavano la lussuosa Reggia degli Attalidi, della Biblioteca e del Santuario di Atena non sono rimaste che le fondamenta, racchiuse tra le possenti mura della cittadella. Pergamo rimane uno dei centri più vitali del Vicino Oriente anche sotto il dominio bizantino. Conquistata nel 1336 da Orhan I, uno dei fondatori della dinastia ottomana, la città viene trasformata in roccaforte militare. [11151] Nel 281 a.C. il condottiero Phileteiros, figlio di un macedone di nome Attalo e di una donna del Ponto, fonda la dinastia degli Attalidi e crea il regno indipendente di Pergamo. Gli succedono il nipote Eumene I (263-241 a.C.) ed il figlio di questi, Attalo I (241-197 a.C.) che viene acclamato come il grande difensore della civiltà greca in Asia Minore, per cui assume il titolo di Attalos Soter, Attalo Salvatore, ed in suo onore viene eretto il monumento alla vittoria sui Galati nel Santuario di Atena. Suo figlio Eumene II (197-159 a.C.), uomo di lettere e protettore delle arti che amplia la Biblioteca e progetta l’Altare di Pergamo in memoria di suo padre, prosegue nella politica pro romana e si batte a fianco di Scipione l’Africano nella battaglia di Magnesia (189 a.C.) per sconfiggere il re seleucide Antioco III. Il regno passa poi nelle mani di Attalo II (160-138 a.C.), che dona ad Atene la gigantesca stoà dell’agorà, e al quale succede il nipote Attalo III (138-133 a.C.), scienziato e letterato - sono celebri le sue opere sulla botanica - che nelle sue volontà testamentarie lascia il regno ai Romani. [1121] Efeso è un raro esempio di come una città antica possa sembrare a tutt’oggi magnifica, vitale e reale. Camminando tra le rovine sembra di sentire ancora il respiro della folla che acclamava la benevolenza di Artemide Polymastos, la dea dalle molte mammelle, e di udire i passi dei banchieri, degli argentieri e dei sacerdoti che avevano dato fama a Efeso. [11211] Monumentale, ricca, arrogante e potente, Efeso ha difeso sempre il suo ruolo predominante di centro religioso, che non voleva dire soltanto devozione ma anche lucroso commercio. In un primo tempo il cuore di Efeso fu l’Artemision, il Tempio pagano di Artemide, una specie di Lourdes dell’epoca, considerato una delle Sette Meraviglie del Mondo. Poi, con l’avvento del cristianesimo, venne costruita a Efeso la Basilica di San Giovanni, la più importante delle Sette Chiese dell’Apocalisse. Ed infine i musulmani eressero la grande Moschea di Isa Bey, capolavoro dell’architettura islamica del XIV secolo. Secondo la leggenda la fondazione di Efeso è attribuita alle Amazzoni e all’eroe greco Androcle che, seguendo l’Oracolo di Delfi, vi creò il primo insediamento. Nel VI sec. a.C. Efeso passa sotto il dominio di Creso, il potente Re della Lidia che fece della città il maggiore centro commerciale dell’Asia Minore, governato da un’aristocrazia di banchieri, mercanti e sacerdoti. Astutamente Efeso riuscì sempre a conservare la sua autonomia: non partecipò alla sollevazione delle città ioniche contro i Persiani e venne perciò risparmiata da distruzioni e saccheggi. Alla fine del IV sec.a.C. la città venne conquistata da Alessandro Magno e affidata nelle mani di Lisimaco. A quell’epoca risale la ristrutturazione dell’Artemision che diverrà la Settima Meraviglia del Mondo. Riluttanti nell’accettare l’occupazione romana, gli Efesini si batterono durante le Guerre Mitridatiche del I sec. a.C. a fianco del re di Ponto e fecero strage di Romani nella loro città. Conquistata infine da Silla, Efeso risorse come metropoli ricca e potente con banche e immensi tesori in oro e argento e dotata di una grande Biblioteca e di una Scuola di filosofi sofisti. Nonostante l’apparente insuccesso delle predicazioni di San Paolo a Efeso, il cristianesimo iniziò a diffondersi in Asia minore e l’Imperatore Teodosio di Costantinopoli fece della città una roccaforte cristiana dove si svolsero due importanti Concili. [11221] Un’alta colonna solitaria, in mezzo ad un pantano alle porte di Efeso, è tutto ciò che resta del Tempio di Artemide, uno dei più grandi e ricchi santuari del mondo. Saccheggiato da Nerone e dai Goti ed in seguito ridotto a cava di pietra per costruire la Basilica di San Giovanni, l’Artemision scompare dopo aver resistito a numerosi assalti per circa mille anni. Il primo Tempio nacque intorno al VII sec. a.C. su un luogo consacrato alla Matar Kubele dei Frigi, assimilata poi dalla dea della Fecondità, Cibele, ed infine trasformata dai Greci nel culto di Artemide. Nel VI sec. a.C. il re Creso della Lidia, celebre per la sua leggendaria ricchezza, rinnovò il Tempio colmandolo di preziosi doni: statue di giumente d’oro e 127 colonne scolpite, chiamate le columnae caelatae. Nel 356 a.C., il giorno della nascita di Alessandro Magno, un piromane di nome Erostrato entrò nella storia per aver incendiato inspiegabilmente il Tempio. Alessandro si offrì di ricostruire il Santuario, ma gli Efesini preferirono farlo con le proprie forze: nacque così il nuovo Tempio, più splendente che mai, con una foresta di colonne e ornato dalle opere dei maggiori scultori greci - Fidia, Scopa, Policleto, Cresilao e Prassitele - che crearono una delle Sette Meraviglie del Mondo. [11231] La via Arcadiana è una lunga strada colonnata che collega il porto - da tempo interrato - con il quartiere basso della città, dove si trovano le Terme del Porto, lo Stadio e tre degli otto ginnasi di Efeso. La via sbocca sul grande teatro ellenistico perfettamente inserito sulle pendici del colle Panayir, che poteva ospitare oltre 20.000 spettatori. Durante le celebrazioni del solstizio d’estate la sensuale statua di Artemide, rappresentata con un grappolo di mammelle sul petto, veniva portata in solenne processione nel teatro dove si svolgevano le celebrazioni in suo onore. Protagonista infelice di quel teatro fu anche l’apostolo Paolo, venuto per predicare la parola di Cristo davanti alla folla radunata sui gradini, ma che venne messo in fuga al grido: grande è l’Artemide degli Efesini. [11241] Marmi pavimentali, marmi sui bordi, marmi sui monumenti caratterizzano la via che costeggia l’agorà inferiore fino alla Biblioteca di Celso, vanto della città per un periodo relativamente breve - appena un secolo - a causa di un incendio scoppiato all’inizio del III sec. d.C., che ridusse l’imponente edificio ad una magnifica ma vuota scenografia quale la vediamo ancora oggi. La Biblioteca venne eretta intorno al 120 a.C. in stile corinzio con profusione di colonne e nicchie disposte su due piani dal proconsole romano Caius Julius Aquila sopra la camera funeraria di suo padre Celsus Polemeanus. La facciata della Biblioteca è stata ricostruita in anastilosi con i marmi originali, mentre i frammenti dei rivestimenti interni si trovano al Kunsthistorische Museum di Vienna. [11251] La via dei Cureti che sale verso l’acropoli è una specie di vetrina delle vanità imperiali di Efeso: vi si affacciano lussuose dimore romane ornate da mosaici, terme, ninfei e templi dedicati agli imperatori romani divinizzati. Il Tempio più bello - anche se di dimensioni modeste - è quello eretto per l’imperatore Adriano che visitò Efeso durante il suo lungo soggiorno in Asia Minore, tra il 128 e il 132 d.C.. L’arco di ingresso è ornato dall’effigie di Tyche, dea dell’Abbondanza e della Fortuna, e gli ambienti interni erano riccamente decorati con fregi e statue che sono esposti ora nel locale Museo di Selçuk. I Ninfei dedicati a Traiano e ai consoli Caio Memmio e Pollione si trovano intorno al monumentale Arco degli Eracleidi che dava accesso all’agorà superiore, dove sorgeva il grande Tempio dedicato all’Imperatore Domiziano, segretamente odiato per la sua inflessibile tirannia, per cui alla sua morte il Tempio venne ridedicato a Vespasiano. Generalmente gli Efesini erano insofferenti verso la dominazione romana. Da un lato accettavano volentieri i doni e gli onori riservati alla città, ma dall’altro non sopportavano le ingerenze nelle vicende religiose e sociali. Vi fu una tremenda sollevazione popolare quando i Romani infransero il diritto di asilo nel Tempio di Artemide dove si era rifugiata Arsinoe, sorella di Cleopatra: Marcantonio la trascinò fuori dal Tempio e la uccise. [11261] Molti viaggi apostolici di Paolo di Tarso si sono svolti nella sua patria, l’Anatolia, dove predicò nelle sinagoghe, nelle piazze e nei teatri. Quando Paolo giunge tra il 54 e il 57 d.C. a Efeso, città di mercanti, pellegrini, filosofi e maghi, aveva appena lasciato la Cappadocia dove era stato quasi lapidato dalla folla inferocita. A Efeso è libero di insegnare i precetti del cristianesimo, ma commette una imperdonabile imprudenza: brucia nella pubblica piazza le Ephesia Gramata - il libro che egli condanna per il suo contenuto magico e le false ideologie - e inveisce contro la potente corporazione degli argentieri che producevano idoli e tempietti per i pellegrini dell’Artemision, tentando di convincerli che dio non dimora nei templi costruiti dagli uomini, ma nella mente di ognuno. Questo atto è visto come un sabotaggio al lucroso commercio della città e Paolo viene assalito nel teatro da una massa in subbuglio al grido di Grande è Artemide, protettrice degli Efesini. L’Apostolo - salvato in extremis dal linciaggio e costretto ad abbandonare la città - commenterà più tardi a Efeso ho combattuto con le belve. Dalla prigione di Roma Paolo manderà una lunga Lettera agli Efesini, destinata alle comunità cristiane dell’Asia Minore. [1131] Di piccole dimensioni, compatta, costruita armoniosamente sulle terrazze rocciose all’ombra del Monte Micale, Priene era considerata già in antichità una città - scrigno, abitata da un’aristocrazia colta e dedita allo studio. Erodoto scrisse che i cittadini di quella regione avevano fondato le loro città sotto il più bel cielo e nel migliore clima. [11311] Priene, insieme a numerose altre città della costa egea, fu fondata da coloni ioni nell’XI sec. a.C. Per rafforzare i legami tra le colonie venne costituita nel IX sec. a.C. la Lega delle Dodici Città Ioniche che aveva il suo centro religioso sul Monte Micale, sul versante opposto a quello di Priene. Qui i coloni si riunivano per discutere di questioni religiose - vi era un importante tempio dedicato a Poseidone - ma anche per parlare di problemi politici e per decidere quali strategie si dovevano seguire nella lotta contro i Persiani nel VI sec. a.C., come ci tramanda Erodoto nelle sue Storie. [11321] I primi coloni ioni fondarono la città di Priene sulla foce del fiume Meandro. Di questo primo insediamento - che sappiamo sottomesso nel VI sec. a.C. dai Lidii, governato da uno dei Sette Saggi, Bias, e successivamente conquistato dai Persiani - non c’è più traccia perché i sedimenti trasportati dal fiume interrarono il porto e allontanarono la fascia costiera. Nella seconda metà del IV sec. a.C., con l’aiuto finanziario di Atene e di Alicarnasso, Priene viene ricostruita a metà costa del Monte Micale su quattro terrazzamenti. Sebbene il sito fosse impervio, i nuovi fondatori riuscirono a costruire la città seguendo i dettami ippodamei: isolati regolari formati da larghe strade parallele che tagliano orizzontalmente la collina e da scale che salgono dalla prima terrazza fino all’acropoli. [11331] Nella nuovissima Priene arriva, nel 334 a.C., Alessandro Magno per organizzare l’assedio alla vicina Mileto, allora occupata dai Persiani. Per ringraziare i cittadini di Priene dell’ospitalità, il Macedone sovvenziona i lavori da poco iniziati per il Tempio di Atena Polias, come ricorda un’iscrizione oggi conservata al British Museum di Londra. Per edificare questo tempio viene chiamato nel 340 a.C. l’architetto Piteo, uno dei fautori del Mausoleo di Alicarnasso, mentre la grande statua di Atena - scolpita sul modello di quella di Fidia ad Atene - fu donata nel II sec. a.C. da un principe della Cappadocia, Orophernes. Di epoca ellenistica è il teatro sulla terrazza superiore, conservato magnificamente: la cavea a perfetta forma di ferro di cavallo termina sull’orchestra con i sedili di marmo per i notabili della città, ornati da zampe di leoni e tralci d’edera. Oltre alle rappresentazioni teatrali, qui si tenevano anche le riunioni dell’ ecclesia - l’assemblea del popolo - mentre per gli incontri degli Anziani venne costruito il bouleuterion a pianta quadrata. Passata sotto il dominio romano nel 129 a.C., Priene continua la sua vita di piccola città di provincia fino al periodo bizantino, quando vengono costruite numerose chiese e una fortezza. Conquistato dai Turchi nel XIV secolo, il sito perde di importanza e verrà riportato all’antico splendore dagli scavi di una missione archeologica tedesca alla fine dell’Ottocento. [1141] Mileto era una delle più grandi città della Ionia e uno dei primissimi insediamenti oltremare di Cretesi e Micenei che vi si stabilirono tra il XVI e il XIV sec. a.C. La città divenne celebre per il suo impianto urbanistico a scacchiera, formato da una rete di strade parallele e perpendicolari, con regolari isolati di case dove potevano vivere fino a 100.000 persone. Autore di questa tipologia urbana, che servì da modello a numerose città greche e romane, fu l’architetto Ippodamo da Mileto, che diede il suo nome al rigoroso piano ortogonale, da allora chiamato ippodameo. [11411] Quando Ippodamo disegna la città perfetta nel V sec. a.C., si tratta di una rinascita: Mileto era appena stata rasa al suolo dai Persiani, poiché aveva infranto il patto di non aggressione concluso un secolo prima con il re achemenide Ciro. La ribellione delle Dodici Città Ioniche era stata istigata proprio dal Signore di Mileto, Aristagora, e fu una delle cause scatenanti delle guerre tra Greci e Persiani. Prima di quell’evento, Mileto era stata una grande potenza marittima, commerciale e culturale che non aveva rivali: tra l’VIII e il VII sec. a.C., all’epoca del tiranno Trasibulo, i Milesi fondarono numerose colonie dal Mar Nero all’Egeo - Plinio il Vecchio riferisce di circa 90 colonie - ed intrattenne fruttuose relazioni con l’Egitto e la Magna Grecia, esportando mobilia, tessuti e lana. I filosofi e gli scienziati di Mileto dettero un contributo fondamentale alla cultura greca: qui nacque ed insegnò il filosofo e matematico Talete, uno dei Sette Saggi elencati da Platone nel Protagora, la cui opera venne proseguita dai discepoli Anassimandro, autore del trattato Della Natura e maestro di Pitagora, e Anassimene, studioso dei quattro elementi fondamentali, aria, terra, acqua e fuoco. A Mileto visse tra il VI e il V sec. a.C. Ecateo, il primo logografo e geografo greco che scrisse un’importante Periegesi su luoghi, civiltà, usi e costumi dei popoli, un libro dal quale Erodoto attinse molte informazioni per le sue Storie. [11421] Al giorno d’oggi la struttura ippodamea ed il porto di Mileto si percepiscono appena nella vasta piana sabbiosa, creata dal terriccio alluvionale depositato nei secoli dal fiume Meandro. Un tempo si entrava nell’agorà del Porto attraverso una monumentale porta con colonne corinzie su due ordini, trasportata all’inizio del nostro secolo a Berlino dove venne ricostruita nel Pergamon Museum. Dagli ultimi gradini del teatro ellenistico- romano si possono scorgere i resti del Porto dei Leoni e del Delphinion, il tempio dedicato ad Apollo dal quale partiva la Via Sacra che da Mileto proseguiva per dodici chilometri fino al grande santuario di Apollo a Didyma. La maggior parte degli edifici - i ginnasi, le palestre, il bouleuterion e le terme - risalgono all’epoca ellenistica, quando Alessandro Magno liberò la città dai Persiani, e al periodo romano, quando Mileto rinacque come grande centro commerciale dell’Asia Minore. Nell’ XI secolo la città venne occupata dai Crociati che vi costruirono la fortezza del Castro Palatium, che poi divenne emporio selgiuchide con il nome di Balat. Il progressivo insabbiamento del porto, al quale tentarono di porre rimedio inutilmente i mercanti veneziani giunti nel XIV secolo per aprire una sede commerciale, determinò il definitivo declino della città e, un secolo più tardi, della grandiosa Mileto non rimasero che rovine. [11431] Talete di Mileto, vissuto tra il VII e il VI sec. a.C. non ha lasciato nulla di scritto, ma i suoi insegnamenti vengono ricordati da Platone, Aristotele, Erodoto, Plutarco e Plinio il Vecchio. Filosofo, naturalista, astronomo e matematico, Talete è reputato il padre della geometria e delle scienze naturali, colui che introdusse il pensiero razionale che andava oltre il mito e le divinazioni. Talete è il teorico dell’archè, il principio che sta all’origine di tutte le cose e che possiede nell’acqua il suo elemento principale: il nutrimento di tutte le cose è umido. Secondo Talete l’origine del mondo non è riconducibile soltanto al caos, ma risale ad un principio razionale, generato dalla natura stessa, stabile ed insieme mutevole nel suo divenire. Talete di Mileto è considerato da Platone il più geniale dei Sette Saggi che erano, oltre a Talete, Cleobulo di Rodi, Bias di Priene, Pittaco di Lesbo, Solone di Atene, Periandro di Corinto e Chilone di Sparta. [1151] Il tempio e l’oracolo di Didyma erano il santuario più grandioso dell’Asia Minore e, per importanza, secondo soltanto all’oracolo di Delfi. Il complesso sacro era dedicato ad Apollo e a sua sorella Artemide e forse questo connubio spiega il nome Didymaion, che significa gemello. Entrambe le divinità sono di origine orientale e, prima di venir accolti nel pantheon degli dèi greci, Apollo era venerato dagli Hittiti come Apulanos, mentre Artemide era adorata dai Frigi come Matar Cubaba. [11511] Intorno all’imponente Tempio di Apollo è oggi sorto un piccolo villaggio e un bazar per i turisti, ma in tempi arcaici era severamente proibito edificare nelle vicinanze dell’oracolo. Il primo Tempio venne costruito nel VII sec. a.C. ed era custodito dalla casta sacerdotale dei Branchidi, che facevano risalire le loro origini al mitico eroe Branchos, compagno prediletto di Apollo. L’oracolo era visitato dai potenti del mondo antico che colmarono il santuario di doni e fecero costruire una Via Sacra porticata, bordata da numerosi altari e figure di sfingi, che collegava Didyma a Mileto. Gravemente danneggiato nel V sec. a.C. dai guerrieri persiani di Serse, che rapinarono i tesori e deportarono i sacerdoti a Susa, il Tempio rinacque alla fine del IV sec. a.C., dopo l’arrivo di Alessandro Magno. Cinque secoli durò la ricostruzione che vide impegnati anche gli imperatori romani - Tiberio, Caligola, Traiano e Adriano - che fecero cospicue donazioni al santuario. Saccheggiata dai Goti, violata dai cristiani che costruirono una chiesa nell’adyton sacro del Tempio, Didyma venne ridotta ad una cava per la costruzione di nuove fortificazioni. [11521] Un’ampia scalinata porta al santuario ellenistico che oggi vediamo: il Tempio è circondato da una doppia fila di 122 colonne ioniche dai basamenti finemente scolpiti e ornato sulla facciata da gigantesche teste di Gorgoni. Dal naos, riservato ai sacerdoti, scende una scala monumentale verso l’adyton, il luogo proibito, dove si trova la fonte sacra dai vapori inebrianti in grado di ispirare i responsi dati dall’oracolo dei Dio. Al tempo della ricostruzione, l’altare arcaico venne inglobato nell’ambiente interno lasciando uno spazio a cielo aperto per ricordare i culti devozionali dei primi sacerdoti di Didyma che ricevettero ricchi doni da Creso, re della Lidia, venuto per interrogare l’oracolo prima della sua spedizione contro i Persiani. Ogni traccia si è persa invece della colossale statua bronzea di Apollo - celebre opera di Canaco di Sicione - che venne trafugata dai Persiani ad Ecbatana e poi recuperata e restituita al Tempio dai Seleucidi per onorare una promessa fatta da Alessandro Magno. [1161] Nel 1838 un viaggiatore francese, Louis de Laborde, seguì una carovana nella regione della Frigia e fu uno dei primi occidentali che rimasero abbagliati dalle bianche cascate di travertino, chiamate dai Turchi Pamukkale, castello ovattato, per via delle candide conformazioni calcaree simili a giganteschi fiocchi di cotone. In cima a questa scogliera di vasche bianche sorgeva l’antica città di Hierapolis, rinomata per le sue sorgenti calde e celebre centro di cure termali in epoca romana. [11611] Per gli antichi il sacro luogo di Hierapolis era abitato all’origine soltanto dagli dei: da Poseidone colui che fa tremare la terra, da Eracle l’eroe invincibile e da Plutone padrone degli Inferi, al quale era dedicata una caverna dalla quale si sprigionavano vapori venefici tanto potenti da poter uccidere un toro. Nel II sec. a.C. gli Attalidi di Pergamo decisero di costruire intorno al Santuario un avamposto militare che presto si sviluppò come fiorente città al centro della Frigia. Distrutta da un violento terremoto nel 60 d.C., Hierapolis venne totalmente ricostruita in epoca romana ed in particolare dall’imperatore Domiziano e da Sesto Giulio Frontino, allora governatore dell’Asia Minore. [11621] I monumenti di Hierapolis sono tutti raccolti intorno alla Via dei Portici, delimitata da due archi trionfali e da una terza porta costruita in epoca bizantina. Il teatro, ampliato dai Severi nel III sec. d.C., reca dei bellissimi rilievi marmorei che illustrano il mito di Apollo e Artemide. Su una lastra del teatro si trova inciso un commovente omaggio alla bellezza della città, che recita: Dell’Asia ricca di fiumi, puoi godere il suolo più eccellente di tutti, Hierapolis, aurea città, signora delle Ninfe, adorna di splendide sorgenti. Ad Apollo era dedicato anche il più importante santuario della città, eretto in età ellenistica sopra il Plutonium dal quale continua a sgorgare l’acqua indigesta del mondo dei defunti. Massicce appaiono le rovine della grande Basilica, del Ninfeo e delle Terme romane del II sec. d.C., dove è stata rinvenuta una serie di sculture provenienti dalla scuola dei maestri di Afrodisia. L’aspetto trionfale degli edifici greco-romani contrasta nettamente con la vasta necropoli che si estende su tutto il pianoro circostante come una seconda città: vi sono state scoperte 1.200 tombe dalle forme più varie, tumuli circolari, semplici sarcofagi poggiati tra l’erba e sepolcri concepiti come templi in miniatura o come case dal tetto spiovente. Il ricordo della morte è presente anche sulla cima della collina dove sorgeva una basilica costruita nel V sec. d.C. per commemorare il martirio di San Filippo, l’apostolo che giunse a Hierapolis nell’80 d.C. e qui venne crocifisso. [1171] Una città chiamata Afrodisia non può che essere dedicata all’amore, alla bellezza e al benessere, e Afrodisia appare davvero come un’oasi rigeneratrice, luminosa con i suoi marmi che catturano la luce del cielo tra boschetti e prati verdi. [11711] Questo luogo, nel cuore della Caria, è da sempre legato al culto della fertilità e dell’amore, come dimostrano i ritrovamenti di statuine votive che le popolazioni dell’Età del Bronzo dedicavano ai loro dei arcaici. La prima divinità venerata fu probabilmente Ishtar, la dea babilonese della fertilità, poi identificata con l’autoctona Nin e quindi con la greca Afrodite. Oscure sono le vicende del sito in epoca arcaica e classica e la grande fortuna del santuario e della città inizia soltanto con i Romani, che già in epoca Repubblicana mostrarono un forte attaccamento a questo luogo. Il primo ad omaggiare la città fu Silla che nell’82 a.C., su consiglio dell’oracolo di Delfi, donò al Tempio di Afrodite una corona d’oro e una doppia ascia per propiziarsi la guerra contro Mitridate, re del Ponto. In epoca giulio-claudia Afrodisia visse il suo periodo di massimo splendore, dovuto alla devozione che gli imperatori romani mostravano per Afrodite, madre di Enea e quindi capostipite della loro stirpe. La città prosperò fino in epoca bizantina quando i sovrani cristiani cercarono di cancellare il culto pagano e, volendo dare un segno forte della loro autorità, cambiarono il nome di Afrodisia in Stavropolis, Città della Croce. Distrutta dai terremoti e saccheggiata dagli eserciti di passaggio, la città fu definitivamente abbandonata all’inizio del XV secolo, dopo un’incursione del conquistatore Tamerlano. [11721] Fulcro della città era il Santuario di Afrodite, che nella fase attuale risale al I sec. a.C. - II sec. d.C.. All’interno veniva praticata la prostituzione sacra, un culto religioso che si era diffuso sia in Grecia che in Asia e che aveva le sue principali sedi a Corinto e ad Afrodisia. Il Santuario doveva essere ornato da fregi e statue di elevatissima fattura - purtroppo quasi nulla è rimasto dopo la conversione del Tempio in basilica cristiana - poiché gli scultori di Afrodisia erano conosciuti in tutto il mondo romano per l’estro con cui lavoravano i marmi bianchi con venature rosate e turchesi della vicina cava sul Monte Salbakos. Tale era l’importanza della scuola di scultura che nello Stadio svolgeva ogni anno una competizione tra i maggiori artisti che venivano premiati per le loro opere. Lo Stadio è di per sé un’architettura mirabile: dell’immenso ovale si sono conservate perfettamente le 30 file di gradini in marmo, scolpite nel pendio naturale del colle, che sembrano attendere solo l’arrivo degli spettatori e degli atleti. [11731] La vista di Afrodisia sorprende tuttora per la magnificenza dei suoi monumenti dai marmi luminosi, riccamente ornati con un particolare amore per il dettaglio e con una profusione di rilievi decorativi che ricordano gli stucchi barocchi. Il Tempio e il Temenos di Afrodite erano preceduti dal Tetrapylon, una porta a quattro scomparti segnati da colonne corinzie. Tra filari di pioppi emergono le colonne superstiti dell’immensa agorà, del Portico di Tiberio e della Stoà delle Terme del teatro. Il teatro stesso è tra i meglio conservati dell’Asia Minore e possiede, nel muro di contenimento della scena, numerosissime iscrizioni che costituiscono un libro a cielo aperto sugli eventi accaduti in città: raccontano ad esempio come Afrodisia fu saccheggiata durante la guerra civile dai seguaci di Pompeo perché era rimasta fedele ad Antonio e a Ottaviano e ricordano che, per la sua lealtà, quest’ultimo, divenuto imperatore, aveva concesso alla città numerosi privilegi tra cui l’esenzione dai tributi e il diritto di offrire asilo ai perseguitati. Dello stretto legame tra Afrodisia e gli imperatori romani testimonia anche l’imponente Sebasteion, dedicato al culto della famiglia giulio-claudia, che ha restituito preziose statue e rilievi, ora esposti nel locale Museo. [11741] Così scrive Erodoto nelle Storie, Libro I, quando parla della prostituzione sacra che veniva praticata in molti santuari greci e orientali: "È obbligo che ogni donna del paese, una volta durante la vita, postasi nel recinto sacro di Afrodite, si unisca con uno straniero... per lo più il rito si svolge così: se ne stanno le donne sedute nel sacro recinto di Afrodite con una corona di corda intorno al capo: sono in gran numero perché mentre alcune sopraggiungono altre se ne vanno. Tra le donne si aprono dei passaggi, delimitati da funi e rivolti in tutte le direzioni, per i quali si aggirano i forestieri e fanno la loro scelta. Quando una donna si siede in quel posto non torna più a casa se prima qualche straniero, dopo averle gettato del denaro sulle ginocchia, non si sia a lei congiunto all’interno del tempio. La quantità di denaro è quella che è. Non c’è da temere, infatti, che la donna lo rifiuti: non le è permesso perché quel denaro diventa sacro". [1181] Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta, che infiniti addusse lutti agli Achei... Chi non conosce i primi versi dell’Iliade di Omero e, ascoltandoli, non pensi immediatamente alla vasta piana di Ilio, scenario delle cruente battaglie tra Greci e Troiani? Si può rimanere delusi visitando oggi i pochi resti di mura e le fondamenta di alcuni edifici che si ergono sulla collina di Hissarlik, ma per far rivivere Troia basta aggirarsi per gli scavi con l’Iliade sotto il braccio, come fece Heinrich Schliemann, lo studioso che per primo identificò la mitica città. [11811] Nel XV sec. a.C., periodo in cui si presume si sia svolta la guerra di Troia, la cittadella fortificata di Ilio ha già una lunga storia alle spalle. Le prime tracce di insediamento risalgono infatti all’inizio del III millennio a.C., quando il villaggio viene usato come campo sosta dai mercanti provenienti dall’Asia con i loro carichi di metalli pregiati. Con l’intensificarsi dei commerci, la piccola roccaforte di Troia assume una certa importanza, dovuta anche alla sua posizione strategica a controllo dello stretto dei Dardanelli. In questa fase (metà del III millennio a.C.) e da far risalire il prezioso tesoro scoperto da Heinrich Schliemann nel 1873, che però l’archeologo attribuisce erroneamente alla Troia omerica. [11821] Dopo un lungo periodo di stasi e l’arrivo di una nuova popolazione, nel corso del II millennio a.C. la cittadella di Troia viene nuovamente fortificata e saranno proprio quelle mura a resistere per lungo tempo agli assalti dell’esercito greco, venuto a vendicare l’onore del re di Sparta, Menelao. Causa della guerra tra la piccola ma potente Troia e la grande coalizione di principi micenei della Tessaglia (da Agamennone ad Achille, da Ulisse a Nestore) è il rapimento di Elena, la bellissima sposa di Menelao, da parte del principe Paride, debole figlio del re di Ilio, Priamo e fratello dell’eroico Ettore. Dopo dieci anni di scontri combattuti nella piana sotto le mura di Troia, sarà l’astuzia di Ulisse a decidere l’esito della guerra: un grande cavallo di legno che all’interno ospita i guerrieri greci pronti a mettere a ferro e fuoco la città, ma che viene creduto dai Troiani un dono del dio Poseidone e per questo portato all’interno delle fortificazioni. [11831] E’ proprio una ricostruzione del Cavallo di Troia che accoglie i moderni visitatori all’ingresso degli scavi. Aggirarsi tra i resti dell’antica città significa oggi avere uno sguardo su tutta la millenaria storia di Troia: sull’acropoli si trovano le tracce del megaron di tipo minoico risalente al 2500-2300 a.C., tratti di mura spesse ben cinque metri appartengono invece alla metà del II millennio a.C. e nella cittadella emergono i monumenti della Ilio romana, costruiti riutilizzando materiali di epoca ellenistica. E’ difficile farsi un’idea ben precisa di ognuna delle numerose fasi di Troia, visto che nei nove strati della collina gli archeologi hanno identificato 46 insediamenti di epoche diverse. Bisogna solo farsi prendere dalla magia del luogo e rendere omaggio ai resti della famosa Ilio come fecero nei secoli i potenti del mondo antico, dal persiano Serse, al macedone Alessandro Magno, fino all’imperatore Adriano che qui onorava Enea, genero di Priamo, e progenitore della stirpe romana. [11841] Heinrich Schliemann nasce in Germania nel 1822. Dopo un’infanzia e un’adolescenza passate a lavorare come garzone, mozzo e fattorino e a studiare da autodidatta lingue, storia ed economia, ad appena 24 anni, il giovane Heinrich fonda un’impresa commerciale autonoma che lo porta a vivere in Russia e negli Stati Uniti. Nel 1860 Schliemann è ormai un ricco uomo di successo e può allontanarsi dagli affari per inseguire un sogno che lo accompagna fin da bambino: scoprire la città di Troia e far rivivere in modo tangibile le vicende raccontate da Omero. La sua nuova vita da archeologo comincia nell’isola di Itaca nel 1868, dove scava alla ricerca del palazzo di re Laerte. Deluso dagli scarsi ritrovamenti, Schliemann si ritira ad Atene da cui partirà però due anni dopo alla volta della Turchia, ormai fermamente deciso a far tornare alla luce l’antica Troia. Con l’Iliade di Omero come guida, l’archeologo tedesco scava senza metodo sulla collina di Hissarlik, ma riesce lo stesso a trovare consistenti testimonianze antiche che però lui giudica insignificanti e quindi distrugge, non sapendo che si trovava proprio di fronte alle vestigia di Troia a lungo cercata. Nel 1873 Schliemann scopre un immenso tesoro che egli attribuisce a Priamo ed esporta clandestinamente in Grecia. Lo studioso continua le sue ricerche a Micene e a Tirinto, mentre il mondo accademico lo taccia di essere solo un cercatore d’oro privo di conoscenze scientifiche. Dopo nuovi viaggi a Creta e in Egitto, Schliemann, ormai gravemente malato, muore a Napoli nel 1890 e viene seppellito ad Atene con solenni funerali. Nonostante i suoi metodi poco ortodossi e la sua scarsa base scientifica, a Heinrich Schliemann dobbiamo comunque le maggiori scoperte archeologiche del secolo scorso. [11851] Lunga e misteriosa è la storia del Tesoro di Troia scoperto da Schliemann nel 1873 sotto le mura della cittadella di Ilio; Non si sa esattamente - perché l’archeologo non ne fa parola se non a grandi linee - né quando né dove Schliemann abbia portato alla luce i numerosissimi oggetti d’oro, argento e lapislazzuli che egli afferma far parte del tesoro del re Priamo, ma che ormai sappiamo appartengono ad una precedente civiltà molto evoluta dell’Età del Bronzo (metà del III millennio a.C.). Per non lasciare il suo tesoro al governo turco, Schliemann esporta clandestinamente il prezioso ritrovamento in Grecia, dove però le autorità rifiutano la sua donazione per non avere problemi con la Turchia con cui sono in una fase politica piuttosto delicata. Dopo numerose trattative con diversi stati europei il Tesoro di Priamo riappare a Londra nel 1877, ma dopo appena quattro anni Schliemann decide di donarlo definitivamente alla Germania, che lo esporrà nel Museo Pre e Protostorico di Berlino fino al 1939. Nascosto in delle casse custodite nella torre antiaerea dello Zoo di Berlino, il Tesoro sarà requisito dall’Armata Rossa nel 1945, all’indomani della disfatta nazista. Di questo immenso patrimonio archeologico - si trattava di più di mille reperti tra gioielli e vasellame - sparisce ogni traccia fino al 1993, quando il presidente russo Boris Eltsin annuncia che il Tesoro di Troia si trova al Museo Pushkin di Mosca. Ormai visitato da migliaia di persone, il tesoro suscita ancora aspre controversie: sia la Turchia che la Germania affermano di esserne i legittimi proprietari e non mancano richieste di restituzione anche dalla Grecia e dall’Inghilterra. [121] Nell’orbita dei grandi centri di potere della Turchia classica, quando ai regni indipendenti delle popolazioni autoctone si sostituirono Persiani, Greci e Romani, vennero create numerose città per rafforzare la difesa delle colonie. La maggior parte di questi siti vennero abbandonati tra il XII e il XIV secolo, quando l’Anatolia passò sotto il dominio dei Selgiuchidi e dei primi Sultani ottomani. [1211] Asso fu fondata nel IX sec. a.C. da coloni greci eolici provenienti dall’isola di Lesbo, distante poche miglia dalla costa. Occupata dai Lidii e dai Persiani, alla metà del IV sec. a.C. la città conosce il periodo di massimo splendore sotto la tirannide di Ermia, filosofo della Bitinia che aveva studiato all’Accademia di Platone. Ermia fonda ad Asso una propria scuola filosofica dove soggiorna anche Aristotele, che sposa la figlia del tiranno. La prosperità della città ha però vita breve: nel 341 a.C. Ermia viene catturato e ucciso dai Persiani e la neonata Accademia si scioglie. Passata poi a far parte del regno di Pergamo, Asso diventa colonia romana nel 133 a.C. Dell’antica città rimangono le possenti mura del IV sec. a.C., pochi resti sul terrazzamento dell’agorà, una suggestiva necropoli dai sarcofagi scoperchiati e il Tempio arcaico di Atena, le cui colonne sono state rialzate in anastilosi e stanno ancora a guardia perenne dello stretto di mare che separa la terraferma dall’isola di Lesbo. [1221] Nelle montagne della Caria sorge l’antica città di Nysa, le cui rovine sono ora disseminate in un bosco. Fondata dal re seleucide Antioco I nel III sec. a.C., Nysa diventò in epoca romana un importante centro di studi che vide tra i suoi allievi lo storico Strabone. Del periodo romano rimangono il grande teatro e il Gerontikon, un piccolo bouleuterion semicircolare destinato al Consiglio degli Anziani. Nysa era famosa anche come centro di guarigione per le malattie respiratorie, che venivano curate con le esalazioni sulfuree di una vicina sorgente miracolosa. [1231] Sul promontorio davanti alla città di Bodrum si può vedere ciò che resta di una delle Sette Meraviglie del Mondo, il Mausoleo di Alicarnasso. Il re della Caria, Mausolo, aveva fondato qui la sua capitale, trasferendovi le popolazioni di altre sei città. Forte e orgoglioso del suo potere, Mausolo circondò Alicarnasso di alte mura e la colmò di innumerevoli opere architettoniche, tra cui il grandioso santuario dedicato a se stesso. Costruito dagli architetti Satiro e Piteo, il monumento funebre fu portato a termine dalla sposa- sorella di Mausolo, Artemisia II, dopo la morte del sovrano nel 353 a.C.. Per ornare il Mausoleo con statue e fregi furono chiamati i più grandi scultori dell’epoca, da Scopa a Timoteo, da Leocare a Briasside. Delle centinaia di statue che abbellivano il monumento ne sono rimaste pochissime, poiché un terribile terremoto rase al suolo l’intera costruzione. Molti dei blocchi superstiti furono poi riutilizzati per costruire il Castello di San Pietro a Bodrum, voluto dai Crociati dopo la distruzione di quello di Smirne da parte di Tamerlano alla metà del XV secolo. [1241] Non lontano da Bodrum, nel mezzo di un boschetto di querce e profumati allori, sorge isolato un Tempio corinzio, dedicato a Zeus, eretto in periodo adrianeo nel II sec. d.C.. L’immagine e l’atmosfera del luogo rievocano le stampe dell’epoca romantica, quando le rovine dei templi erano raffigurate in armonioso equilibrio con la natura incontaminata e selvaggia. Nelle testimonianze dei viaggiatori antichi vengono menzionati numerosi templi sorti tra le colline della Caria e della Ionia, ma della maggior parte di essi se ne sono perse le tracce. [1251] Sulla fascia costiera della Licia sorge Letoon, un santuario ellenistico dedicato alla triade divina Leto, Apollo e Artemide. Il mito racconta che Leto, figlia di un gigante e di una titana, ebbe una storia d’amore con Zeus, ma fu costretta a sfuggire alla gelosia di Hera che non voleva che il suo sposo generasse figli con un’altra dea. Leto riuscì a nascondersi sull’isola di Delo, dove partorì due gemelli, Apollo e Artemide. Sempre in fuga dall’ira di Hera, Leto e i due neonati si rifugiarono in Licia, dove però la dea fu costretta a trasformare i figli in rane per sottrarli alla popolazione che non voleva farli dissetare alla propria sorgente. Il Tempio più grande del santuario è dedicato a Leto, venerata in Licia con il nome di Lada, cioè donna, per cui si presume che in questa regione vigesse una forma di matriarcato. Gli altri due templi sono consacrati ai gemelli divini, come dimostra il ritrovamento di un mosaico con arco, frecce e cetra, simboli di Artemide e Apollo. Della città, che si era formata intorno al santuario, restano un teatro ellenistico, l’agorà e un grande Ninfeo. Quasi tutti monumenti sono semi sommersi dalle acque paludose del fiume Xanthos, dove non vivono più rane, ma migliaia di tartarughe. [1261] Dell’origine di Aspendos, fiorente città della Panfilia, si sa molto poco, anche se doveva essere già in epoca arcaica un importante emporio, raggiungibile dal mare navigando sul fiume Eurymedon. Secondo la leggenda i fondatori sarebbero stati dei coloni provenienti da Argo, guidati dal mitico veggente degli Argonauti, Mopsos. All’arrivo di Alessandro Magno, Aspendos si arrese senza condizioni, ma, appena il Macedone si fu allontanato, la città - insofferente a qualsiasi costrizione - si ribellò e fu quindi severamente punita. Dopo un lungo periodo passato sotto il dominio di Pergamo, come molte altre città della costa, Aspendos divenne provincia romana. Proprio in periodo romano la città conobbe la sua massima espansione, dovuta al fiorente commercio di preziosi tessuti, olio e sale. Simbolo della ricchezza di Aspendos è il suo splendido teatro adagiato sotto l’acropoli. Costruito nella seconda metà del II sec. d.C. dall’architetto Zenone, il teatro conserva ancora la facciata della scena riccamente decorata, la galleria superiore ad archi e nicchie e l’immensa cavea che poteva contenere 20.000 spettatori. L’edificio continua a svolgere la sua antica funzione, ospitando ogni anno tragedie classiche e rappresentazioni folkloristiche. [1271] Le dune sabbiose hanno ormai sepolto un intero quartiere dell’antica Side affacciata sul mare, una città cinta su tutti i lati da possenti mura con torrioni di guardia per proteggerla dalle incursioni di truppe nemiche e di pirati. Secondo la tradizione, il primo insediamento di Side risale al tempo degli Achei di Omero, ma soltanto in epoca ellenistico- romana la città diventò un importante centro marittimo con grandi cantieri navali che rifornirono la flotta seleucide in guerra contro i Romani. Tra i monumenti meglio conservati vi sono il teatro ellenistico, che rivolge la cavea verso la grande agorà commerciale con al centro un santuario cilindrico dedicato alla dea Tyche, una seconda agorà destinata agli affari di stato, che si trova in prossimità del mare, e una Basilica cristiana del V sec. d.C., costruita a ridosso dei Templi di Apollo e di Atena, che segnavano l’ingresso al porto antico. [21] La magia che emana Istanbul non è paragonabile a nessuna altra città: la sua energia, il suo modo di essere antica ed insieme moderna, i colori, l’armonia della sue architetture e il movimento continuo che pervade le sue strade sono come il respiro della vita. Costantinopoli, solenne capitale bizantina, e Istanbul, superbo centro di potere dei Sultani della Sublime Porta, sono state - e sono - il punto d’incontro di Occidente e di Oriente, d’Europa e d’Asia, di uomini di diverse fedi e culture. [211] Fondata dai Greci nel VII sec.a.C. con il nome di Byzantion, la città divenne capitale dell’Impero Romano nel 330 d.C. ricevendo dall’imperatore Costantino il titolo di Roma Nova: anch’essa era costruita su sette colli come Roma ed era tanto vasta che si estendeva oltre le mura dell’acropoli su entrambe le sponde del Corno d’Oro e lungo le rive del Bosforo e del Mar di Marmara. Da allora, per onorare l’imperatore, la città verràchiamata Costantinopoli e diventerà il fulcro dell’Impero Bizantino raggiungendo il suo apogeo nel VI secolo sotto il regno dell’imperatore Giustiniano, colui che pone la prima pietra della Basilica di Santa Sofia. [2111] Della città romana quasi nulla è rimasto, ad eccezione dei momumenti che si trovano nell’area dell’Ippodromo, a pochi passi dalla Moschea Blu, e di alcune pietre isolate tra le mura o lungo le strade del centro storico. [21111] Stretta da larghi cerchi di ferro, la Colonna di Costantino, chiamata dai Turchi Çemberlitas, ovvero colonna bruciata, venne eretta dall’imperatore Costantino nel 324 d.C. per celebrare l’unione di tre religioni: nel basamento fece infatti murare i simboli degli dei greci, dei patriarchi ebrei e della fede cristiana. Molto ben conservato, anche se intrappolato nel traffico, è l’Acquedotto di Valente del IV secolo, a due campate e lungo circa un chilometro, che portava l’acqua ad un grande Ninfeo, oggi scomparso. Numerosi erano i serbatoi d’acqua della città, tra cui la grandiosa Cisterna della Basilica, o Yerebatan Sarayi, d’epoca romano-bizantina concepita come un magnifico palazzo sotterraneo sostenuto da una foresta di 336 colonne con capitelli corinzi. Ai piedi della più antica cisterna ottomana si trova un frammento del Miliarium Aureum, la pietra miliare romana che segnava l’inizio della Via Egnazia, l’antica strada che collegava Costantinopoli alle coste sul Mare Adriatico. [21121] L’At Meydani è l’immensa piazza che occupa l’antico stadio romano, l’Ippodromo, iniziato nel 203 d.C. da Settimio Severo e completato dagli imperatori Costantino eTeodosio. L’Ippodromo non era adibito soltanto alle corse dei carri, ma fungeva da platea ai fasti, alla potenza e alle misfatte dell’Impero bizantino: vi si celebrarono incoronazioni e nozze e, nel VI sec.d.C, fu teatro del trionfo del condottiero Belisario dopo la sconfitta dei Vandali, ma divenne anche arena di morte, quando i soldati dello stesso Belisario massacrarono più di 30.000 rivoltosi che avevano partecipato alla congiura contro la coppia imperiale Giustiniano e Teodora. Nell’Ippodromo era esposta la celebre quadriga bronzea attribuita allo scultore Lisippo: nel 1204i cavalli vennero smontati dai Crociati e portati in trionfo a Venezia. Un altro prezioso reperto dell’Ippodromo è la colonna serpentina, il piedistallo bronzeo di un tripode d’oro formato da tre serpenti attorcigliati che fu donato dalle città greche al Tempio di Apollo di Delphi dopo la vittoria sui Persiani nel 479 a.C. e che Costantino fece trasferire nella sua capitale. [21131] L’obelisco egiziano dell’Ippodromo risale al XV sec. a.C. e originariamente apparteneva al Tempio di Karnak. L’imperatore Teodosio I lo fece trasportare a Costantinopoli dove venne innalzato al centro della piazza nel 390 d.C. I rilievi scolpiti sui quattro lati del basamento illustrano alcuni momenti memorabili nella vita dell’Imperatore: Teodosio mentre incorona i vincitori delle corse circondato dalla corte, mentre assiste all’elevazione dell’obelisco, mentre osserva una gara tra bighe e mentre riceve l’atto di sottomissione dei nemici vinti. [21141] La storia della mura di Costantinopoli somiglia alla fatica di Sisifo: erette, demolite, ricostruite, ampliate,spostate e poi nuovamente distrutte, le fortificazioni sono riuscite infine a sopravvivere a guerre, assalti e terremoti. Oggi si può seguire il perimetro della città storica seguendo un’imponente cinta muraria d’epoca romana, bizantina e ottomana lunga oltre 6 chilometri con numerose torri e porte monumentali, come la Porta del Cannone, la Porta d’Oro - anticamente un Arco di Trionfo di Teodosio I - o la Porta di Mevlana. Tra i resti delle mura emerge il Tekfur Sarayi, il Palazzo dell’Imperatore, costruito intorno al XIII secolo in pietra rossa, bianca e nera e attribuito comunemente al basileus bizantino Costantino Porfirogenito. Case, orti, moschee, chiese e tombe occupano lunghi tratti della cinta muraria sul Bosforo e sul Corno d’Orocosì che, talvolta, è difficile distinguere le antiche opere difensive dal tessuto della città. [2121] Quando l’imperatore Giustiniano fece erigere, tra il 532 e il 537, la basilica dedicata alla Haghia Sophia, la Divina Sapienza, sullo stesso luogo erano già state costruite due chiese da Costantino e da Teodosio: la prima era stata distrutta da un incendio, la seconda era crollata durante l’insurrezione contro Giustiano nel 532. L’imperatore chiamò allora i maggiori architetti dell’epoca, Antemio di Tralles e Isidoro da Mileto per realizzare la più stupefacente opera monumentale del suo tempo. [21211] La spazialità della basilica è talmente autoritaria, severa e priva di qualunque concessione agli orpelli, che gli uomini che si muovono sotto l’immensa cupola appaiono sperduti come in un formicaio impazzito. La cupola, costruita con mattoni leggeri di Rodi e che ha un diametro di 31 metri su un’altezza di 55 metri, poggia su quattro pilastri che in seguitosono stati consolidati da contrafforti per reggere meglio il peso. La luce filtra da una miriade di piccole finestre arcuate e fa brillare le calligrafie d’oro, aggiunte in epoca ottomana quando Haghia Sophia venne trasformata in moschea con degli elementi cultuali indispensabili all’Islam islamico come i quattro minareti, il mihrab orientato verso la Mecca ed il minbar per i sermoni. Dei mosaici bizantini originari sono rimaste soltanto poche tracce come la Madonna in coro, il Cristo Pantocrator ed alcuni santi e profeti nel matroneo. [21221] Per ornare la basilica, Giustiniano fece raccogliere i più preziosi marmi, colonne e capitelli dai templi del mondo antico: troviamo così tra i rivestimenti della mura delle nicchie e dei pavimenti della chiesa frammenti provenienti da Efeso, da Delfi o da Atene. Luogo di culto, trionfo della cristianità sul paganesimo, Haghia Sophia era stata creata per stupire e per molti secoli venne considerata come un modello architettonico irraggiungibile, fino a quando, al tempo di Solimano il Magnifico, non apparve Sinan, il geniale architetto dei Sultani ottomani, che tentò di superare la grandiosità della Basilica con le sue moschee dalle cupole vertigionose. Nessun culto viene più celebrato a Haghia Sophia, da quando, nel 1932, la basilica venne trasformata nel complesso museale di Ayasofya. [2131] Santa Sofia è la punta di diamante dell’architettura bizantina, ma oltre a questa celebre basilica vi erano innumerevoli chiese e monasteri a Costantinopoli, ora in parte convertiti in moschea, altri adibiti a museo ed altri ancora semplicemente abbandonati. Il Monastero di Chora e la Piccola Moschea di Ayasofya rappresentano un buon esempio dell’arte bizantina e delle sovrastrutture operate nel tempo. [21311] La chiesa ed il monastero dedicati al Salvatore -trasformati dapprima in moschea ed oggi conosciuti come Kariye Müzesi - vennero fondati al tempo dell’imperatore Costantino fuori dalle mura della città - in chora - e ampliati nell’XI secolo sotto la dinastia dei Comneni. Le decorazioni musive che ornano la chiesa risalgono al regno dei Paleologhi, la dinastia che nel XIV secolo fece rinascere Costantinopoli dopo il sacco dei Crociati. I mosaici e le pitture di San Salvatore in Chora, di autori anonimi, sono di finissima esecuzione e di una straordinaria ricchezza iconografica e cromatica. [21321] Nascosta tra gli alberi di un giardino vicino alle fortificazioni che si affacciano sul Mar di Marmara sorge la chiesa dei Martiri Sergio e Bacco, del VI secolo, che prese in periodo ottomano il nome di Küyük Ayasofya Camii, Piccola Moschea di Santa Sofia, per la somiglianza con la celebre basilica anche se è di dimensioni molto inferiori. Di pianta ottagonale con una vasta cupola sorretta da otto colonne di marmo verde e rosso con candidi capitelli scolpiti, l’ex-chiesa era interamente ornata da pitture e mosaici di cui nulla si è conservato: sulle pareti, intonacate in periodo ottomano, vi sono stati sovrapposti degli elementi decorativi di culto islamico. [2141] La fondazione della città è dovuta ad un enigmatico oracolo di Delfi che consigliò all’esarca di Megara, Byzas, di stabilirsi con la sua gente in un luogo di ciechi: nacque così nel 658 a.C. Byzantion sul Bosforo, già antico insediamento fenicio, ignorato e non visto fino ad allora da altri coloni greci. Città-ponte tra Oriente e Occidente, Byzantion viene coinvolta nelle guerre che opposero i Greci ai Persiani, accerchiata inutilmente da Filippo il Macedone, invasa e saccheggiata dai Galli ed infine - dopo essersi ribellata più volte ai Romani - conquistata e distrutta nel 196 d.C. da Settimio Severo dopo tre anni di assedio. Nel 330 d.C. l’imperatore Costantino elegge la città capitale dell’Impero Romano battezzandola Roma Nova. Al momento della scissione in Impero Romano d’Occidente e Impero Romano d’Oriente, la Nuova Roma riceve il nome di Costantinopoli e diventerà - dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente - l’unica e prestigiosa capitale di Bisanzio. L’Impero sopravviverà per quasi mille anni, anche se notevolmente ridotto rispetto all’epoca della sua maggiore espansione sotto l’imperatore Giustiniano nel VI secolo. Dopo aver resistito ai continui attacchi dei Selgiuchidi e dei Turchi a partire dall’XI secolo, a Costantinopoli è inflitto un gravissimo colpo dai soldati di Cristo della IV Crociata: nel 1204 la città viene messa a ferro e fuoco, saccheggiata ed i suoi abitanti vengono uccisi a migliaia. Dopo una breve parentesi come Regno Latino, la dinastia greca dei Paleologhi riesce a ristabilire nel corso del XIII secolo un certo ordine a Costantinopoli, ma ormai gli Ottomani premono alle porte: al momento della caduta di Costantinopolinel 1453,i domini di Bisanzio sono ormai ridotti alla sola città. [221] Cupole, minareti, moschee, palazzi, bazar, giardini e fontane sospesi tra cielo, terra e mare: questa è la visione magica della porta d’Oriente che accoglie il viaggiatore che giunge ad Istanbul. Pagine e pagine di esercizi letterari sono state scritte sull’incomparabile bellezza della città che fu la capitale di un Impero immenso - paragonabile per potenza soltanto a quello dell’antica Roma - creato e governato dai Sultani ottomani che risiedevano nel palazzo del Topkapi, nella cittadella che veglia sulla fusione di tre acque - il Bosforo, il Mar di Marmara e il Corno d’Oro - e sulla convergenza di due continenti, l’Asia e l’Europa. [2211] L’ultimo basileus bizantino Costantino XI assiste immobile e indebolito - nonostante i pressanti appelli alla Santa Sede di Roma in nome della comune fede cristiana - all’avanzata degli Ottomani che già si erano impadroniti di Bursa sul Bosforo, di Edirne al nord e di Gallipoli sulla riva europea dello Stretto dei Dardanelli.Dopo un anno di estenuante assedio il sultanto Maometto II Fatih, il Conquistatore, sferra il colpo decisivo: il 28 maggio del 1453- forzato il blocco alle navi costituito da una catena tesa attraverso il Corno d’Oro - viene aperta una breccia attraverso le mura della cittadella e le truppe musulmane invadono la città, mentre l’imperatore viene passato per le armi e la città saccheggiata. Costantinopoli è caduta per rinascere più sontuosa e ricca di prima con il nome di Stambul. Ristabilito l’ordine dopo il caos dei primi giorni, Maometto II inizia immediatamente la trasformazione della città: la basilica di Santa Sofia viene convertita in moschea e nella cittadella viene eretta la residenza dei Sultani, più tardi chiamata Topkapi Sarayi, il palazzo della Porta del Cannone. [2221] La residenza dei Sultani ottomani, iniziata nel 1461 da Maometto II il Conqusitatore - allora chiamato Dar-us Saadet, Casa della Felicità - e portata a compimento da Solimano il Magnifico, non è da intendere come un palazzo, ma piuttosto come una città nella città, un complesso di giardini, corti, padiglioni, caserme, edifici civili e religiosi, ognuno con funzioni ben distinte. Il Topkapi Sarayi è stato abitato dai Sultani della Sublime Porta per quattro secoli, dal 1470 al 1853, fino a quando l’ultima dinastia preferì trasferirsi nel palazzo di Dolmabahçe sulle rive del Bosforo. Le porte del palazzo vennero aperte al pubblico dal 1924, quando Mustafa Kemal Atatürk dopo la procalamzione della Repubblica lo trasformò in museo. [22211] Oltre la prima porta, il Bab-i Hümayun, si estende un grande piazzale, un tempo luogo delle riunioni dei Giannizzeri, il potente corpo speciale di fanteria selezionato tra i cristiani islamizzati. La seconda porta, l’Orta Kapi o Porta di mezzo, conduce al cortile del Divano circondato da portici, dove si trovano le prigioni sotterranee, la sala del Consiglio dei Visir e il salone per gli ambasciatori nell’edificio detto Kubbealti (sotto la cupola), gli archivi, le scuderie e il complesso delle cucine dove lavoravano più di mille persone addette alla preparazione dei pasti imperiali che durante i ricevimenti ufficiali, venivano offerti a migliaia di invitati. Gli ambienti delle cucine sono oggi adibiti a Museo delle Porcellane dove sono esposte le preziose collezioni di porcellane cinesi, francesi e russe donate ai Sultani dai sovrani stranieri. [22221] Dietro il Kubbealti si apre la porta dell’harem, il luogo proibito, riservato alle concubine, alle moglie e alla madre del Sultano. L’harem del Topkapi venne istituito intorno alla metà del XVI secolo da Roxelana, la seconda moglie di Solimano il Magnifico. L’harem è costituito da un labirinto di corridoi, camere, sale e salette, appartamenti per le mogli e per la madre del Sultano e stanze per i servitori e gli eunuchi che sorvegliavano la città delle donne. La vita nell’harem aveva poco in comune con i racconti licenziosi nati dalla fantasia degli occidentali: le ore del giorno e della notte erano regolate da un severo protocollo che somigliava piuttosto alla clausura conventuale, dedicando il tempo all’apprendimento della musica, all’arte della seduzione e alla cura del proprio corpo nella speranza di poter salire nella graduatoria da semplice concubina al ruolo di favorita. Particolare riguardo era riservato alle mogli - le kadin - e alla madre- la valide - del Sultano che occupavano degli ambienti distinti dai dormitori lussuosi delle circa quattrocento concubine e che esercitavano un potere non indifferente sulla vita pubblica del regno. L’istituzione dell’harem venne abolita ufficialmente nel 1909. [22231] Il Bab-i Saadet, la Porta della Felicità, si apre sulla biblioteca di Ahmet III, la Sala delle Udienze e l’Hammam, costituiti da vasti ambienti porticati che circondano il cortile. Gran parte delle stanze sono state adibite a Museo e vi sono raccolti i tesori pubblici e privati dei Sultani: vesti tempestate da pietre preziose, arredamenti degli appartamenti imperiali, il trono d’oro decorato da brillanti, rubini e perle, armature da parata con il celebre pugnale ornato da tre smeraldi ed i gioielli della famiglia imperiale, tra cui spicca il diamante Kasikçi o Pigot, che con i suoi 86 carati costituisce uno dei più grandi diamanti del mondo. Nella sala dell’Hirka-i Saddet Dairesi, la Sala della Felicità, sono conservate le reliquie più sacre dell’Islam: il manto, una lettera, la bandiera e l’impronta del piede del Profeta Maometto, portati a Istanbul dopo la conquista dell’Egitto. [22241] L’ultima terrazza del serraglio si apre su un panorama meraviglioso con vista sul Corno d’Oro e sul Bosforo ed è occupata da un grande bacino d’acqua e numerosi padiglioni e chioschi, tra cui il Chiosco di Baghdad, costruito nel 1638 dal Sultano Murat IV per commemorare le conquiste ottomane in Iraq. Rivestito da marmi policromi e da ceramiche di Iznik e ornato da intarsi di madreperla, il chiosco è uno dei più eleganti edifici del Topkapi. Nella balaustra della terrazza venne inserito nel XVII secolo un baldacchino di bronzo dorato dove il sultano Ibrahim si sedeva dopo il tramonto per consumare i pasti serali nei giorni del Ramadan, il mese del digiuno rituale islamico. [2231] Ad uno sguardo superficiale le moschee ottomane sembrano ispirate prevalentemente alle basiliche bizantine, ma questo è vero soltanto in parte. Se escludiamo le chiese che vennero trasformate in moschee nel corso del XV secolo, la somiglianza si ferma alla cupola, l’ardita sfera celeste dei bizantini ripresa dagli architetti ottomani, ma poi elaborata in maniera del tutto originale. L’architettura religiosa ottomana è piuttosto erede dell’esperienza persiana e selgiuchide ed il concetto moschea va ben oltre il luogo di preghiera, in quanto comprende dei complessi articolati - il külliye - che includono scuole, ospedali, centri di assistenza, biblioteche e ospizi. [22311] L’architetto Davut Aga fu incaricato di costruire, proprio di fronte a Santa Sofia, una moschea che superasse in magnificenza l’antica basilica bizantina. Inoltre doveva rivaleggiare con la bravura di Sinan, suo predecessore e indiscusso maestro dell’architettura ottomana. Il suo gesto di sfida e la volontà di eccellere, infine sono stati premiati: la Sultan Ahmet Camii - costruita tra il 1609 e il 1617 e chiamata comunemente Moschea Blu per le maioliche azzurre che compongono le decorazioni interne -col tempo è diventato l’emblema di Istanbul. Affacciata dall’alto della collina sul Mar di Marmara, la moschea è uno splendido artificio architettonico con sei slanciati minareti e una miriade di cupole, semicupole, nicchie e gallerie illuminate da 260 vetrate colorate che diffondono una soffice luce. La moschea comprende una scuola di teologia ed un ospizio per i poveri e, per lungo tempo, è stata il luogo sacro dove si raccoglievano i pellegrini prima di intraprendere il viaggio verso la Mecca. [22321] Due donne importanti -Safiye, madre di Mehmet III, e Turan Hatice, madre di Mehmet IV - commissionarono agli architetti Davut e Mustafa Aga la costruzione di questa imponente moschea sulla riva del Corno d’Oro di fronte al ponte di Galata, che ricevette il nome di Yeni Valide Sultan Camii, ovvero nuova moschea della madre del Sultano. Edificata tra il 1597 e il 1663, la moschea era dotata di scuole, mausolei e di un ospedale, ma del complesso restano ora soltanto gli edifici che compongono il Bazar delle Spezie. Esternamente austera, la moschea abbonda all’interno di maioliche azzure, di fregi dipinti sulle volte e sulle cupole. Di fronte al Mihrab e al Minbar venne costruita una loggia in legno dorato, riservata alla famiglia imperiale che qui si raccoglieva in preghiera. [22331] Per commemorare Eyüp (Giobbe) Ensari, il coraggioso compagno del Profeta rimasto ucciso durante l’assedio di Costantinopoli nel 670, Maometto II il Conquistatore fece erigere nel 1458 la grande moschea di Eyüp, lontana dalla metropoli, alle pendici di un colle che sovrasta il Corno d’Oro. Tutt’intorno, tra alberi e fiori, si estende un vasto cimitero dove sono sepolti gli uomini più illustri dell’Impero. Le stele funerarie sono decorate da turbanti - se il defunto è un uomo - e da motivi floreali se si tratta di una donna. Il complesso comprende un’importante scuola di teologia, una mensa per i poveri - tutt’ora in funzione - un caravanserraglio e un bazar. Per tradizione nella moschea si svolgeva il solenne rituale del passaggio del potere da Sultano a Sultano: il sovrano veniva cinto dall’antica spada di Osman, fondatore della dinastia ottomana. Nel santuario di Eyüp vengono a pregare le spose prima delle nozze per chiedere un matrimonio felice, benedetto dalla nascita di molti figli maschi. Meta di pellegrinaggi è anche il mausoleo di Mirishah Sultan Valide nell’adiacente cimitero, costruitoin epoca barocca e decorato da fregi e intarsi lignei. [22341] Primo artefice della moschea ottomana è l’architetto Sinan che opera sotto il regno di tre Sultani nell’epoca d’oro dell’Impero. Nel 1539 il Sultano Solimano il Magnifico nomina Sinan direttore dei lavori edilizi ad Istanbul, una funzione che egli mantiene anche sotto i sultani Selim II e Murat III. Nella sola Istanbul realizza 41 moschee e partecipa attivamente alla trasformazione urbanistica della capitale. [223411] Il suo capolavoro è la Süleymaniye Camii, eretta tra il 1550 e il 1557 per Solimano I. La moschea sorge al centro di un complesso che comprende scuole di teologia, un ospedale e un collegio di diritto. La grande corte con la fontana per le abluzioni è racchiusa da un portico con colonne provenienti dall’Ippodromo romano. La magnifica cupola principale è sorretta da quattro pilastri con contrafforti e sovrasta la sala di preghiera da un altezza di 53 metri. Nei giardini che circondano la moschea vi sono i mausolei a doppia cupola dove riposano Solimano il Magnifico e Roxelana, la seconda moglie del Sultano di origine russa e adorata come grande benefattrice e mecenate. [223421] La Rüstem Pasha Camii venne eretta nel 1561 per il Gran Visir che aveva sposato l’unica figlia del Sultano, Miramah. La moschea è particolarmente ammirata per le maioliche floreali che decorano le pareti interne ed esterne, opera di ceramisti di Iznik, il maggiore centro artistico dell’Anatolia. Tra i capolavori della moschea vi è il Minbar, una cattedra scolpita nel marmo con intrecci di stelle a sei punte e cerchi di chiara ispirazione selgiuchide. [223431] Un’altra celebre moschea di Sinan è la Sokollu Mehmet Pasha Camii, costruita nel 1571 e nascosta tra i vicoli che salgono verso la cittadella. La moschea è tra le più raccolte e preziose di Istanbul, accessibile da una ripida scala che porta al cortile rialzato con al centro una fontana in marmo bianco e rosa. L’interno - costituito da una grande sala esagonale inserita in un quadrato - è rivestito da splendide maioliche a motivi geometrici, floreali e calligrafici. [22351] Alla fine del XIII secolo il Sultanato del Rum - il regno creato dai Selgiuchidi che dominavano i territori centrali e orientali dell’Anatolia - crollò sotto la spinta inesauribile degli emirati turchi che si erano formati nelle regioni settentrionali. All’inizio del XIV secolo il loro capo, Osman Bey, riuscì ad occupare Iznik (l’antica Nicea) e Bursa, stanziandosi in pratica davanti alle porte di Costantinopoli, allora governata dalla dinastia bizantina dei Paleologhi. Dal nome di Osman verrà coniata la definizione ottomano che in turco si dice osmanli. Il suo successore Orkhan (1326-1361) varcò lo stretto dei Dardanelli e si insediò a Gallipoli sulla riva europea. Murad I (1362-1389) conquistò Edirne (l’antica Adrianopoli) e penetrò in Tracia e Macedonia: ormai Costantinopoli era circondata e isolata. Beyazit I (1389-1402) riuscì a dominare quasi tutta l’Anatolia ed i Balcani, ma dovette difendersi dalle incursioni di Tamerlano. Dopo un lungo assedio, il 29 maggio 1453 Maometto II Fatih, il Conquistatore, entrò a Costantinopoli, ultimo baluardo della cristianità in Asia Minore. Con Selim I (1512-1520), Solimano il Magnifico (1520-1566) e Selim II (1566-1574) l’Impero Ottomano raggiunse il suo apogeo: grazie a delle campagne militari fulminee le frontiere si estesero dal Kurdistan all’Egitto, dall’Azerbaijan ai Balcani, dalla Grecia ai paesi del Maghreb, dallo Yemen all’Ungheria. Né l’insuccesso dell’assedio a Vienna nel 1529, né la disfatta dei Turchi a Lepanto nel 1571 riuscirono a scalfire l’immagine degli onnipotenti Sultani. Ma non furono soltanto le guerre che resero grande l’Impero: furono anni di grande fermento culturale dove circolavano uomini, merci ed idee, vi era libertà di culto e le città erano abitate da Greci, Ebrei, Armeni, Genovesi e Veneziani. Il XVIII secolo segnò una svolta: in Europa, erano cambiati gli equilibri politici ed economici e sulle porte della Turchia premeva l’Impero Russo. Ahmet III, il Sultano dei Tulipani, introdusse usi e costumi europei ad Istanbul e basò la sua politica su vivaci scambi diplomatici, ma ciò non fu sufficiente per salvare l’Impero da un lento declino. Nel XIX secolo scoppiarono le rivolte nei paesi occupati e molti possedimenti extra-territoriali dei Turchi vennero colonizzati dalle nazioni europee. Durante la Prima Guerra Mondiale il movimento dei Giovani Turchi convinse il Sultanato ad entrare in guerra a fianco della Germania e, dopo la disfatta, la Turchia passò praticamente sotto la tutela delle varie potenze europee. Dal centro dell’Anatolia partì allora la rivoluzione dei patrioti turchi, capeggiata da Kemal Atatürk, futuro padre della patria: nel 1922 l’ultimo Sultano, Maometto VI, fu costretto a fuggire da Istanbul, mentre l’istituzione del Sultanato è ufficialmente abolita e nel 1923 venne proclamata la Repubblica Turca. [231] Sono passati secoli dall’età d’oro della Sublime Porta dei Sultani, ma Istanbul continua ad essere la città-simbolo dell’Oriente, un luogo che possiede una forza d’attrazione come nessun altro. I fasti, il lusso, il mistero, lo splendore, il profumo ed i suoni descritti dai colti viaggiatori dell’Ottocento sembrano concentrarsi tutti ad Istanbul, una città sufficientemente europea per non rimpiangere le comodità della patria, e infinitamente orientale per appagare i sogni e le fantasie dei cercatori d’oblìo. I giardini che si intravedono qua e là, le grandi cupole delle moschee, gli innumerevoli minareti che lo sguardo incontra dovunque, creano l’immagine orientale e pittoresca della capitale, un’immagine da sogno come quando si leggono i libri sui viaggi in Oriente scriveva Mark Twain alla fine dell’Ottocento. [2312] François de Chateaubriand così descrive nel 1806 la visione di Istanbul:...alla mia destra la terra d’Asia e Scutari, alla mia sinistra la terra d’Europa...l’immensità delle tre città a terrazzamenti, Galata, Costantinopoli e Scutari, i cipressi, i minareti, le aste dei vascelli che si ergono e si confondono dappertutto; il fogliame verde degli alberi, i colori bianco e rosso delle case...non esagera chi afferma che il panorama di Costantinopoli sia il più bello del mondo. (da Itinerario da Parigi a Gerusalemme) [2311] Oggi si arriva a Istanbul per lo più con l’aereo, perdendo così la magica apparizione della città dal mare, tanto ammirata e decantata dagli scrittori ottocenteschi. Non si arriva nemmeno più con il leggendario treno, l’Orient-Express, che venne inaugurato nel 1883 e che collegava Parigi a Istanbul: oggi rimane soltanto la piccola stazione, tirata a lucido come un monumento. Eppure, ancora oggi si può godere del meraviglioso panorama prendendo uno degli innumerevoli traghetti che navigano tra le sponde del Bosforo e del Mar di Marmara. [2322] Nel 1833 Alphonse de Lamartine navigava lungo le acque del Bosforo, ammirando il lusso delle dimore: Gli appartamenti del sultanto sono aperti e vedo attraverso le finestre gli splendidi cassettoni dorati del soffitto, le lampade di cristallo, i divani e le tende di seta. Quelli dell’Harem sono serrati da spesse grate di legno finemente scolpite. Subito dopo il palazzo inizia una fila ininterrotta di palazzi, di case e di giardini abitati dai principi favoriti, dai ministri e dai pasha a servizio del sovrano. Tutti abitano sulla riva del mare per godere l’aria fresca. Le loro finestre sono aperte; i signori sono seduti sui divani all’interno delle vaste sale che brillano d’oro e di seta, sono là che fumano, conversano, bevono sorbetti e ci guardano passare. (da Viaggio in Oriente) [2321] Lungo le rive del Bosforo si estendono i quartieri europei di Galata e Pera, che iniziano intorno alla maestosa Torre di Galata, costruita dai mercanti Genovesi nel 1348,e continuano lungo il porto fino alla schiera delle residenze dei Sultani e degli ambasciatori - tra cui i lussuosi palazzi di Dolmabahçe e Çiragan - per terminare sulla punta di Ortaköy con la bella moschea barocca, là dove il ponte di Bogaziçi unisce il continente europeo a quello asiatico. [2332] William Thackery, che visita Istanbul nel 1844 scrive entusiasta: La scena, se non addirittura sublime, è certo affascinante, magnifica e splendente più di quanto altre ne abbia mai vedute; è la più superba combinazione di città e giardini, di cupole e navi, di colline e acqua, ventilata e dalla brezza più salubre e sovrastata dal cielo più aperto e luminoso. (da Da Cornhill al Gran Cairo) [2331] Ma il vero cuore di Istanbul è la città antica tra il Topkapi, Santa Sofia, la Moschea Blu, il Bedesten e le mura bizantine. Qui pulsa la vita con migliaia di persone che passeggiano, corrono, vendono, acquistano, conversano, guardano e pregano, oggi come ieri. [2342] Pierre Loti si può dire a pieno titolo cittadino di Istanbul, dove ha vissuto a lungo come acuto osservatore delle trasformazioni sociali all’inizio del secolo, non senza cedere all’incantesimo della città: I divani allineati all’aperto a poco a poco si riempono senza distinzione di persone di ogni razza e costumi, provenienti da tutto il Levante. I camerieri accorono portando minuscole tazzine di cafè, e il raki, le caramelle e le braci ardenti nelle piccole coppe di rame; inizia la dolce “flanerie” delledolci sere d’Oriente, s’accendono i narghilè e l’aria si riempe del profumo del tabacco. (da Le capitali del Mondo: Costantinopoli) [2341] All’ombra dei minareti e dei vetusti palazzi si estendono i vecchi quartieri dalle case di legno arrampicate sul pendio della collina. Le sponde del Corno d’Oro e del Mar di Marmara sono affollate dai pescatori e dalle famiglie in gita, nei Bazar si discute sui prezzi, i venditori d’acqua versano con arte le loro bevande nei bicchieri di vetro e nei caffè si conversa e si fuma. [2352] Ne rimase impressionata anche Lady Montagu, moglie dell’ambasciatore d’Inghilterra presso la Sublime Porta all’inizio del Settecento: I cimiteri sono certamente più vasti che l’intera città... Per commemorare un uomo, viene eretta una colonna sormontata da un turbante, e dalla foggia sempre diversa si può riconoscere la professione o le speciali qualità del defunto...per le donne, invece, viene usato un semplice pilastro, senza ornamenti, ma quando la donna deceduta è nubile viene scolpita una rosa in cima alla lapide. (da Lettere dalla Turchia) [2351] Può sembrare strano ma, nella confusione della città oltre ai giardini e i caffè, vi è un altro luogo dove è bello sostare e raccogliersi: sono gli innumervoli cimiteri, grandi e piccoli, adiacenti alle moschee o ai mausolei. [2362] L’atmosfera del Bedesten alla metà dell’Ottocento viene descritta da Gérard de Nerval che giunge nel 1843 a Istanbul: Abbiamo percorso gli splendidi bazar che formano il centro di Stambul. E’ tutto un labirinto costruito in solida pietra alla maniera bizantina e vi si trova un gran sollievo dopo il calore del giorno. Ognuna delle immense gallerie, alcune curve, altre ogivali, con pilastri scolpiti e portici, è destinata ad un differente genere di merci. Si possono ammirare in particolare gli abiti e le calzature delle donne, i tessuti ricamati con fili d’oro, le lane cachmire, i tappeti, i mobili intarsiati d’oro, d’argento e madreperla, l’oreficeria e le armi lucide, il tutto raccolto in questo settore del bazar che si chiama Bedesten. (da Viaggio in Oriente) [2361] Città nella città, il Grande Bazar di Istanbul, non è un mercato, ma un paradiso per chi ama comprare, guardare, ascoltare e perdere tempo. Nel Bedesten - il cui nome indica un luogo dove si commercia in oggetti di valore - si trovano ogni genere di prodotti, dai più lussuosi ai più semplici, esposti con la stessa grazia, che si tratti di gioielli o di pantofole. Vi sono circa 2000 botteghe - per la maggior parte occupate da orificeria, da tappeti e da tessuti - più di cinquanta caffè e sale da tè, e numerosi laboratori di artigiani. Le spezie, i dolciumi ed i profumi sono invece la ricchezza del Bazar Egiziano, o Misir Çarsisi, denso di aromi e odori esotici che pervadono le gallerie lungo le botteghe. Ai tappeti e all’artigianato si dedica invece il Bazar allestito tra le antiche mura della Cafer Aga Medresesi. [31] Millenni di storia e civiltà complesse hanno lasciato segni tangibili sul vasto suolo dell’Anatolia che si estende dalle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate fino alle coste dell’Egeo e dal Mare Mediterraneo fino al Mar Nero. Ogni regione costituisce un mondo a sé, con le sue caratteristiche geomorfologiche, con le sue tradizioni, con usi e costumi, e con città e villaggi che vivono nel ricordo delle antiche popolazioni che le hanno precedute. [311] Nel cuore della Turchia esiste uno dei paesaggi più bizzarri e suggestivi del nostro pianeta: si tratta della Cappadocia, una gigantesca vallata di origine vulcanica a circa mille metri di altitudine, plasmata dalle erosioni e dalle intemperie. In quella natura ribelle, avversa e isolata, l’uomo è riuscito a crearsi un suo habitat, trovando riparo tra le mille cavità della roccia. [3111] All’origine di questo mondo fantastico vi fu lo scatenamento degli elementi: prima di tutto il fuoco, quando le violenti esplosioni dei vulcani Erçiyes Dagi e Hasan Dagi fecero tremare la terra, lanciando massi incandescenti di lava, abbassando e innalzando il suolo e formando larghe spaccature e picchi rocciosi. Poi vi fu l’incessante e paziente lavorio dell’acqua e del vento che hanno corroso, lisciato e perforato la pietra per millenni. Aggrediti dal gelo, dalle piogge e dalle tempeste, gli strati più teneri dell’immenso campo di scorie vulcaniche vennero trascinati a valle, lasciando in superficie le rocce più resistenti. La Cappadocia assunse allora un’aspetto apocalittico e lunare, fiabesco e magico con grandi distese di calanchi che somigliano ad un lenzuolo sgualcito e impietrito dal quale si ergono guglie, piramidi, coni, torrioni e colonne sormontate da curiosi cappelli di roccia, chiamate popolarmente camini delle fate. . [3121] Per lungo tempo la Cappadocia venne ignorata dall’uomo e servì soltanto come terra di passaggio. I primi insediamenti risalgono all’epoca neolitica e si trovavano sul margine di quella inospitale regione, a Kültepe, la collina delle ceneri vicino all’odierna Kayseri, e a Kösk presso Nigde, sul confine meridionale. A Kültepe vennero a stabilirsi, all’inizio del II millennio a.C. i mercanti Assiri fondando la capitale anatolica di Kanesh, che divenne il più importante emporio per gli scambi di tessuti e metalli preziosi tra la Mesopotamia e la costa Egea. Agli Assiri si sostituirono gli Hittiti che rimasero padroni assoluti delle vie carovaniere fino all’arrivo dei Persiani nel VI sec. a.C.. Nella Cappadocia nacquero allora tanti piccoli feudi governati da principi locali che avevano rapporti commerciali con l’Oriente e con i coloni greci. Scarse sono le notizie sulle popolazioni autoctonedella regione, ma sappiamo da Senofonte -lo stratega greco che attraversò la Cappadocia nel 401 a.C. durante la tragica ritirata del suo esercito dall’Armenia - che nella zona esistevano dei villaggi trogloditici, abitati da gente bellicosa e inospitale. [3131] All’epoca della conquista romana, l’Anatolia centrale era governata dai proconsoli di Caesarea Cappadociae, la nuova capitale fondata a Kayseri. Il cristianesimo penetrò in Cappadocia nel IV secolo con grande vigore nonostante le terribili persecuzioni degli imperatori Diocleziano e Giuliano l’Apostata. Tre padri della chiesa si stabilirono in Cappadocia: Basilio Magno di Kayseri, Gregorio di Nyssa e Gregorio di Nasanzio, grande teologo e fondatore della ortodossia nicena. In fuga dall’instabile Bisanzio e dall’Armenia, numerose comunità religiose, stiliti, eremiti e monaci trovarono riparo tra i monti della Cappadocia ed iniziarono a scavare chiese e conventi nel friabile tufo vulcanico. Nel periodo pre-islamico le facciate delle chiese rupestri erano decorate con splendidi affreschi, iscrizioni e rilievi, ma tra il IX e il XIII secolo l’attenzione venne rivolta tutta all’interno delle cavità della roccia, in modo che le pitture, le croci, le colonne e gli stessi portali rimanessero nascosti alla vista. Alcune chiese erano di difficile accesso, raggiungibili soltanto in cordata come quelle nella gola di Peristrema, altre invece erano più esposte, raggruppate nella valle di Göreme dove si trovano la Tokali Kilise, la chiesa della fibbia con meravigliosi affreschi su fondo azzurro, i santuari di San Basilio e di Santa Barbara e le cappelle della Pançiarlik Kilise e dell’Ürzümeli Kilise, risalenti all’XI secolo. [3141] Caratteristica della struttura delle chiese rupestri è la pianta a croce greca con absidi, cupole e un nartece, un luogo riservato ai catecumeni ed ai penitenti. Gli archi, i pilastri e le cupole scavate e raschiate nel tufo non seguono un disegno preciso, né rispettano le regole della simmetria, ma sono disposte a puro scopo decorativo per ritmare lo spazio. Anche i gradini, gli altari, le panche e le figure a rilievo sono direttamente scolpite nella roccia e pochi erano gli arredi sacri aggiunti. Contemporaneamente alla costruzione delle chiese, gli abitanti della Cappadocia, per trovare riparo e protezione, crearono delle città sotterranee che si spingevano per sette-otto livelli in profondità: un labirinto di pertugi, cunicoli, nicchie, scale, magazzini, cisterne e pozzi di aerazione che formava veri e propri alveari umani dove potevano vivere centinaia di persone. I due nuclei principali nella valle dell’Ihlara erano collegati inoltre da una galleria lunga cinque chilometri che serviva da via di fuga in caso di assedio. A tutt’oggi le anguste città sotterranee vengono esplorate da numerose spedizioni di geologi e speleologi che si calano nelle viscere della terra per scoprire il mistero degli uomoni- talpa. [3151] Fortunatamente, nel corso dei secoli, sono venute meno le condizioni di precarietà e di difesa contro gli invasori e tra le rocce della Cappadocia sono nati numerosi villaggi e città in superficie come Avanos, Ürgüp, Ortahisar o Mustafapasha. L’architettura delle case talvolta si ispira all’antico modello ipogeo, mentre altre volte segue la tipica struttura dei villaggi dell’Anatolia centrale con edifici in legno e pietra, decorati da rilievi e pitture. La terra vulcanica è molto fertile e negli appezzamenti ricavati tra le rocce si coltivano albicocche, uva e grano, ma la risorsa principale della regione è oggi il turismo. Il parco archeologico di Göreme e tutti i monumenti della Cappadocia sono tutelati dall’UNESCO e molti sono i progetti di restauro e di recupero per conservare questo fragile mondo incantato. [321] All’inizio del II millennio a.C. il mondo era dominato da due potenze contrapposte, la Mesopotamia e l’Egitto. Tra questi giganti si inserì con prepotenza una terza forza, gli Hittiti, genti indoeuropee calate da oltre le sponde settentrionali nel Mar Nero che si stabilirono nelle steppe dell’Anatolia centrale e riuscirono a creare un vasto impero. [3211] I primi gruppi di proto- Hittiti, che penetrarono nel XIX sec. a.C. in Anatolia, mostrarono subito grandi capacità organizzative, mescolandosi agli abitanti indigeni e assimilandone usi, costumi e credenze religiose. Conosciuto sotto il nome di Hatti, il nuovo popolo mosse subito guerra ai suoi vicini più potenti, gli Assiri, e nel XVIII sec. a.C. il re Anitta, il primo sovrano hittita del quale abbiamo notizia, poté vantarsi di aver conquistato due importanti empori assiri, Kanesh e Hattusa. Nel 1680 a.C. prese il potere Labarna I, fondatore dell’Antico Impero degli Hittiti, che stabilì la prima capitale - allora chiamata Kushshara - nel luogo dove oggi si trova Alaca Höyük. [3221] Quando venne fondata Kushshara, il sito di Alaca Höyük era già stato abitato fin dall’età neolitica da una grande civiltà autoctona, come dimostrano i ricchi corredi funeraridel 2000-1900 a.C. trovati nella cosidetta Tomba dei Principi nella vicina necropoli. L’Antico Impero Hittita durò appena due secoli, dal 1700 al 1500 a.C., e della prima fase di occupazione Alaca Höyük ha conservato pochi resti, mentre sono imponenti le testimonianze che risalgono al Nuovo Impero, che ha avuto inizio nel 1400 a.C., quando la capitale era stata spostata da tempo a Hattusa. Nel tratto principale delle mura ciclopiche si apre una porta monumentale vegliata da due gigantesche sfingi, una delle quali reca sulla base l‘immagine di un aquila a due teste che stringe tra gli artigli due lepri. Sulle lastre poste a fianco della porta sono scolpite scene di sacrificio dedicate alla dea solare Arinna e ad una divinità taurina, oltre a figure di sacerdoti, giocolieri e adoranti. [3231] Nel 1650 a.C. il re Hattusili I costruisce la sua capitale a Hattusa - oggi chiamata Bogazköy - sfruttando le difese naturali di una collina rocciosa sulla quale viene eretta la cittadella di Büyükkale. Da Hattusa parte l’offensiva dei re Hittiti contro il regno degli Hurriti e contro il popolo dei Mitanni, stanziati tra la Siria e l’Eufrate. Nel 1595 a.C. il re Mursili I riesce ad avanzare fino a Babilonia, ponendo fine alla prima dinastia babilonese, la più potente della Mesopotamia dai tempi di Hammurabi. La presa di Babilonia arricchisce gli Hittiti non soltanto di immensi tesori, ma anche di conoscenze su nuovi culti, sulle arti e sulle scienze. Si tratta tuttavia di una vittoria effimera che non tiene conto dei moti di ribellione dei popoli vicini - Mitanni, Cassiti, Assiri ed Egizi - e presto il vasto regno sfugge al controllo degli Hittiti che vedono sgretolare il loro Impero alla metà del XV sec. a.C. [3241] Dopo cinquant’anni di totale anarchia, il regno Hittita riesce a risollevarsi nel 1430 a.C. con il sovrano Tudhaliya che prosegue la politica espansionistica dei suoi antenati. Il suo successore, Suppiluliuma I, si spinge fino in Libano e alle porte dell’Egitto, allora governato dal faraone Akhenaton. Lo scontro tra Hittiti e Egizi appare inevitabile: a Kadesh, nella valle dell’Oronto, nel 1296 a.C., si fronteggiano gli eserciti del re hittita Muwatalli e del faraone- guerriero Ramsete II. L’esito di quella storica battaglia è controversa. Celebrata dagli Egizi come trionfale vittoria, vede gli Hittiti vincitori morali: Ramsete II sposerà una principessa Hittita e firmerà un trattato di pace che sarà inciso sul muro del Tempio di Karnak. Durante questi eventi Hattusa diventa una città inespugnabile, fortificata da imponenti mura che circondano la città bassa e la citta alta, accessibili soltanto da porte a tenaglia finemente scolpite e da gallerie sotterranee. Il cuore della città è il Grande Tempio dedicato al dio della Tempesta, Teshup, e alla dea del Sole, Hepat. Il grande complesso comprende anche tredici stanze riservate all’archivio imperiale nelle quali sono state rinvenute più di 10.000 tavolette incise con caratteri cuneiformi in lingua hittita - decifrata nel 1915 dall’archeologo praghese Hrozny - che contengono cronache, corrispondenze, inni, preghiere, poemi epici, testamenti e trattati di medicina e di cosmologia. Come molti regni orientali, il potente Impero Hittita crolla intorno al 1200 a.C. sotto la spinta delle invasioni dei misteriosi Popoli del Mare. Hattusa viene incendiata e saccheggiata e non si riprenderà mai più. [3251] L’universo religioso degli Hittiti è multiforme e ha accolto nel suo pantheon molte divinità mesopotamiche, hurrite ed egizie. Le figure scolpite sulle pareti del Santuario rupestre di Yazilikaya sono la testimonianza del perfetto sincretismo tra culti indigeni, hittiti e stranieri. In una lunga processione sono uniti i re divinizzati, gli dei della Luna, del Sole, del Cielo, della Tempesta, della Guerra e della Fecondità. Altri rilievi mostrano i sovrani a colloquio con gli dèi, mentre in uno stretto corridoio roccioso sono incisi Dodici Dei in cammino, ognuno armato di una sciabola ricurva. Le sculture di Yazilikaya, risalenti all’ultimo periodo del Nuovo Impero Hittita, vennero eseguite per desiderio del re Tudhaliya IV - vissuto tra il 1250 e il 1220 a.C. - e costituiscono il testamento della cultura hittita che di lì a poco sarebbe scomparsa. [3261] L’orgoglio degli Hittiti appare chiaramente da un’iscrizione commemorativa del XV sec. a.C.dedicata al primo re Labarna: Un tempo fu re Labarna. Allora i suoi figli, i suoi fratelli, i suoi parenti, tutti quelli della sua stirpe e le sue truppe si erano riuniti intorno a lui. Il paese era piccolo. Ma ovunque egli mosse battaglia, sottomise con la forza a più riprese la terra dei suoi nemici. Annientò i paesi e li ridusse all’impotenza. E fece del mare le sue frontiere. Nel XVIII sec. a.C. Anitta diventa re di Kushshara (Alaca Höyük) che rimane capitale sotto il regno di Labarna I all’inizio del XVII sec a.C.. L’Antico Impero Hittita, con capitale Hattusa, dura dal 1680 al 1450 a.C. e vede il susseguirsi di sovrani potenti come Hattusili I, che allarga il regno dall’Anatolia centrale alla Siria, e Mursili I (1620-1590 a.C.), conquistatore di Babilonia. Intorno al 1580 a.C. crolla l’Impero Antico. Nel 1430 a.C. riprende la politica espansionistica con il re legislatore Telepinu e nel 1480 a.C. rinasce il Nuovo Impero Hittita. Re Tudhaldiya I (1400-1380 a.c.) allarga le frontiere verso il Kurdistan e la Mesopotamia. Re Suppiluliuma I (1380-1346 a.C.) giunge fino in Libano e alle porte dell’Egitto. Il re Muwatalli (1306-1282 a.C.)si scontra con il faraone Ramsete II nella battaglia di Kadesh (1296 circa), cui segue un trattato di pace. Intorno al 1200 a.C. crolla il Nuovo Impero devastato dai Popoli del Mare In seguito nascono piccoli regni indipendenti chiamati neo-hittiti, ma la grande potenza Hittita è ormai agonizzante. [331] Sulla vetta più alta del massiccio montuoso del Tauro, un antico re orientale ha voluto celebrare il congiungimento dell’uomo con gli dèi, creando uno dei più spettacolari santuari del mondo, il Nemrut Dag. Il nome del sacro monte ricorda il biblico re orientale Nimrod che sfidò il cielo con la costruzione della Torre di Babele e divenne simbolo dell’empietà dell’uomo che si vantava di essere uguale a Dio. [3311] Sull’altopiano orientale dell’Anatolia, tra il Tauro e l’Eufrate, i Seleucidi - successori di Alessandro Magno - istituiscono nel III sec a.C. il piccolo regno di Commagene, governato da re indigeni. Nel II sec a.C. Mitridate Callinicos proclama indipendente il Commagene che diventerà un importante stato- cuscinetto al tempo delle guerre che vedranno contrapposti gli eserciti dei Romani e dei Parti. Il re Antioco I Epifane (69-34 a.C.), educato alla maniera greca ma profondamente legato alle sue origini orientali, è più volte accusato di tradimento da parte dei Romani che tuttavia continuano a sostenere il regno fino al 72 d.C., quando Vespasiano decide di togliersi quella spina dal fianco:il Commagene viene annesso alla provincia romana dell’Asia e i membri della famiglia reale sono deportati a Roma e ad Atene. [3321] La storia non avrebbe avuto motivo di ricordarsi dei sovrani di Commagene - non si conoscono né imprese belliche né conquiste di particolare merito - se non vi fosse stata l’opera grandiosa di Antioco I, un re pacifico dedito più alle arti e al culto di se stesso che non alla guerra. Prima della sua morte, avvenuta nel 34 a.C., Antioco I decide di erigersi un gigantesco mausoleo in cima al Nemrut Dag e, per facilitare l’accesso ai pellegrini, realizza una tortuosa Via delle Processioni che dall’antica capitale Arsameia si snoda per circa 60 chilometri attraverso i monti fino al suo sepolcro. Lungo la Via Sacra sorgono numerosi monumenti isolati, dedicati ai predecessori di Antioco:due massicce colonne doriche con capitelli zoomorfi segnano il tumulo di Karakus Tepe, la collina dei corvi che proteggeva il sepolcro della sposa del re e a metà percorso, vicino al villaggio di Eski Kahta, dove sorgono le rovine di un’imponente fortezza mamelucca, venne costruito l’Hierothesion, il sacrario per il progenitore di Commagene, Mitridate Callinicos. La storia non avrebbe avuto motivo di ricordarsi dei sovrani di Commagene - non si conoscono né imprese belliche né conquiste di particolare merito - se non vi fosse stata l’opera grandiosa di Antioco I, un re pacifico dedito più alle arti e al culto di se stesso che non alla guerra. Prima della sua morte, avvenuta nel 34 a.C., Antioco I decide di erigersi un gigantesco mausoleo in cima al Nemrut Dag e, per facilitare l’accesso ai pellegrini, realizza una tortuosa Via delle Processioni che dall’antica capitale Arsameia si snoda per circa 60 chilometri attraverso i monti fino al suo sepolcro. Lungo la Via Sacra sorgono numerosi monumenti isolati, dedicati ai predecessori di Antioco:due massicce colonne doriche con capitelli zoomorfi segnano il tumulo di Karakus Tepe, la collina dei corvi che proteggeva il sepolcro della sposa del re e a metà percorso, vicino al villaggio di Eski Kahta, dove sorgono le rovine di un’imponente fortezza mamelucca, venne costruito l’Hierothesion, il sacrario per il progenitore di Commagene, Mitridate Callinicos. La storia non avrebbe avuto motivo di ricordarsi dei sovrani di Commagene - non si conoscono né imprese belliche né conquiste di particolare merito - se non vi fosse stata l’opera grandiosa di Antioco I, un re pacifico dedito più alle arti e al culto di se stesso che non alla guerra. Prima della sua morte, avvenuta nel 34 a.C., Antioco I decide di erigersi un gigantesco mausoleo in cima al Nemrut Dag e, per facilitare l’accesso ai pellegrini, realizza una tortuosa Via delle Processioni che dall’antica capitale Arsameia si snoda per circa 60 chilometri attraverso i monti fino al suo sepolcro. Lungo la Via Sacra sorgono numerosi monumenti isolati, dedicati ai predecessori di Antioco:due massicce colonne doriche con capitelli zoomorfi segnano il tumulo di Karakus Tepe, la collina dei corvi che proteggeva il sepolcro della sposa del re e a metà percorso, vicino al villaggio di Eski Kahta, dove sorgono le rovine di un’imponente fortezza mamelucca, venne costruito l’Hierothesion, il sacrario per il progenitore di Commagene, Mitridate Callinicos. La storia non avrebbe avuto motivo di ricordarsi dei sovrani di Commagene - non si conoscono né imprese belliche né conquiste di particolare merito - se non vi fosse stata l’opera grandiosa di Antioco I, un re pacifico dedito più alle arti e al culto di se stesso che non alla guerra. Prima della sua morte, avvenuta nel 34 a.C., Antioco I decide di erigersi un gigantesco mausoleo in cima al Nemrut Dag e, per facilitare l’accesso ai pellegrini, realizza una tortuosa Via delle Processioni che dall’antica capitale Arsameia si snoda per circa 60 chilometri attraverso i monti fino al suo sepolcro. Lungo la Via Sacra sorgono numerosi monumenti isolati, dedicati ai predecessori di Antioco:due massicce colonne doriche con capitelli zoomorfi segnano il tumulo di Karakus Tepe, la collina dei corvi che proteggeva il sepolcro della sposa del re e a metà percorso, vicino al villaggio di Eski Kahta, dove sorgono le rovine di un’imponente fortezza mamelucca, venne costruito l’Hierothesion, il sacrario per il progenitore di Commagene, Mitridate Callinicos. [3331] Antioco I volle circondarsi di immagini sacre gigantesche e plateali, ma il luogo di sepoltura del suo corpo doveva rimanere avvolto nel mistero. Sulla vasta piattaforma del Nemrut Dag egli fece accumulare milioni di ciottoli per creare un tumulo artificiale così danascondere la camera funeraria, proggettato in modo che soltanto la totale asportazione dei sassi avrebbe permesso di penetrare il segreto della sua tomba. Fino ad oggi i sondaggi con gli strumenti più sofisticati non hanno potuto svelare il mistero del sepolcro che sembra svanito nel nulla e la credenza popolare vuole che le spoglie del re si siano dissolte nell’aria, nell’immortale abbraccio con gli dèi. [3341] Dalla cima del Nemrut Dag, che rimane innevato gran parte dell’anno, emergono delle colossali teste scolpite in pietra calcarea: sono i volti decapitati degli dèi che un tempo posavano sul collo delle divinità sedute in trono. Su due terrazze simmetriche, ad occidente e ad oriente, si trovano i recinti sacri con il podio per le statue divine e gli altari dove venivano celebrati i riti per commemorare Antioco I Epifane, egli stesso seduto a fianco degli dèi. La dinastia dei Commagene si era creata un albero genealogico di tutto rispetto, affermando di discendere sia dalla stirpe persiana di Dario I sia dalla famiglia macedone di Alessandro Magno. Questa doppia identità dei Commagene spiega la perfetta simbiosi tra culti occidentali e orientali che caratterizzano il podio degli dèi: al centro troneggia Zeus, assimilato al dio persiano Ahuramadza, mentre a fianco gli sono Apollo, che appare come l’orientale Mithra, e Tyche, la dea eletta a simboleggiare la fortuna e la ricchezza di Commagene. In ultimo appaiono il re Antioco I ed Eracle, l’eroe premiato con l’immortalità dagli dèi, proprio come desiderava Antioco. Il recinto sacro comprende inoltre statue di leoni e aquile, simboli di forza e di costanza, altari per il sacrificio del fuoco, numerose stele che celebrano l’unione sacra tra il re e gli dèi e una tavola astrologica, chiamata l’oroscopo del leone, sulla quale è raffigurato un leone con un collare a mezzaluna tra stelle e pianeti che probabilmente indicano le date dell’incoronazione di Antioco I e della fondazione del santuario. [3351] Sul retro dei piedistalli compaiono numerose iscrizioni in lingua greca e persiana che riferiscono sulle origini dei Commagene, sulla creazione del santuario, sui riti da rispettare e recitano anche un elenco di maledizioni per i disubbidienti. Sul piedistallo di Antioco I si trova la seguente epigrafe che costituisce il suo testamento: Ho consacrato questo luogo elevando in trono tutti gli dèi, per tributare loro onori in memoria della stirpe da cui provengo e per chiedere la devozione degli uomini che come me credono nelle forze divine, rappresentate qui per sempre davanti ai loro occhi, per testimoniare la mia adorazione in eterno a coloro che sono devoti come me. Per questa ragione ho eretto le statue con l’immagine divina di Zeus-Jupiter-Ahuramadza, di Apollo-Mithra-Helios-Hermes, di Eracle-Artagnes-Ares e di Tyche, la mia patria, la fertile Commagene. Con lo stesso spirito ho voluto erigere la statua con la mia immagine, posta tra gli dèi misericordiosi, affinchè mi accolgano nelle dimore celesti, perchè agli dèi immortali ho sempre rivolto il mio pensiero ed essi mi hanno più volte dimostrato la loro benevolenza, proteggendo e favorendo il mio regno. [341] La costa mediterranea della Turchia è costellata di città, templi, teatri, necropoli e fortezze antiche che testimoniano della moltitudine delle civiltà che si sono incontrate su quelle terre. Differenti miti, religioni e tradizioni popolari si sono formate all’ombra della catena montuosa del Tauro che separa, come una barriera invalicabile, la costa dalle impervie regioni interne. [3411] Gli abitanti della Licia sono considerati tra le popolazioni più antiche dell’Anatolia e vengono menzionati più volte nelle cronache di Hittiti ed Egizi. Secondo i Greci -come si legge in Omero e in Erodoto - qui approdarono i primi Cretesi, condotti in Licia da Sarpedone, fratello del re Minosse, dopo essere stato esiliato dalla sua patria. Contesa da Greci, Persiani, Seleucidi e Romani, la Licia riuscì a conservare sempre la sua autonomia, difesa dalla Confederazione delle 23 Città di cui facevano parteXhantos, Caunos, Tlos, Myra e Telmessos. [34111] Una particolarità della Licia sono le necropoli rupestri, tagliate nelle ripide pareti dei monti per seppellire degnamente i sovrani ed i nobili delle dinastie licie tra il V e il III sec. a.C.. Affacciato sulla baia di Fethiye, nell’antico sito di Telmessos, si trova un consistente gruppo di sepolcri monumentali tra cui spicca la cosiddetta Tomba di Aminta, costruita nel IV sec. a.C. sul modello di un tempio greco con la facciata ornata da colonne ioniche e un frontone a timpano. [34121] Tra dune di sabbia bianca e campi fioriti sorge Patara, città celebre per il Santuario oracolare di Apollo che però dava responsi soltanto a stagioni alterne: secondo Erodoto il dio aveva scelto Patara come dimora invernale, mentre nei mesi estivi preferiva risiedere sull’isola di Delos. In epoca ellenistica e romana, la città venne dotata di magnifici edifici, dei quali vediamo ancora l’Arco Trionfale eretto per Mettius Modestus, governatore della Licia e della Panfilia nel I sec. d.C., i resti delle Terme, alcuni sarcofagi posti lungo la via principale ed il Teatro, costruito tra il I e il II sec. d.C. dagli imperatori Tiberio e Antonio Pio e che ora è parzialmente coperto da una coltre di sabbia. [34131] Nel X secolo l’imperatore di Bisanzio Costantino Porfirogenito fece incidere questo elogio di Myra: Tre volte benedetta, città della Licia profumata di mirra dove San Nicola, servo di Dio, sparse la mirra per dare un nome alla città. San Nicola - nato a Patara e morto a Myra, protettore dell’infanzia e futuro Babbo Natale nella fantasia dei bambini - fu vescovo di Myra nel VI secolo e per onorare la sua memoria venne eretta una grande basilica che si trova attualmente al centro della cittadina di Demre. Nel 1087 i Crociati trafugarono le spoglie mortali del Santo e le portarono a Bari dove vennero nuovamente seppellite nella cripta dell’omonima cattedrale. Le rovine più suggestive della città sono costituite dalla vasta necropoli rupestre scolpita nella parete verticale del dirupo: vi sono centinaia di tombe a forma di casa che ricordano le abitazioni tradizionali licie oppure camere funerarie ispirate ai templi greci, con un vestibolo sorretto da colonne e un frontone adorno di rilievi. A fianco di questo straordinario scenario funebre si trova un grande Teatro greco-romano adagiato sotto la roccaforte, con una cavea di 38 gradini, gallerie a volta e un’imponente scena decorata da fregi. [34141] Raggiungibile in barca dal mare oppure a piedi per un sentiero impervio inondato da ruscelli, Olympos si presenta oggi come uno dei siti più romantici della Licia, con rovine romane, archi bizantini e sarcofagi licii sparsi lungo la foce del fiume, tra canneti e cespugli di mirto. Ma la bellezza della natura non deve trarre in inganno: presso le popolazioni antiche Olympos ebbe fama di luogo terribile e funesto in quanto era creduta una delle dimore di Efesto che soffiava vampate di fuoco da una grotta sotterranea e, inoltre, nei boschi si nascondeva la Chimera, il mitico animale metà drago e metà leone con una coda di serpente che venne ucciso dall’eroe greco Bellerofonte. [3421] Secondo il geografo Strabone, i fondatori delle città della Panfilia -tra cui Antalya, Perge, Side, Aspendos e Antiochia Pisidia -erano i discendenti dei guerrieri di Agamennone i quali, dopo aver combattuto a Troia, erano venuti a stabilirsi in quella regione. Dal VI sec. a.C. la Panfilia - il paese dei molti popoli -venne controllata dai Persiani che però dovettero cedere la regione nel 334 a.C. ad Alessandro Magno. Dominata dagli Attalidi di Pergamo e dai Romani, contesa tra Bizantini, Ciprioti e Turchi, la Panfilia venne infine conquistata dagli Ottomani nel 1391. [3431] Tutti gli autori antichi concordano nel descrivere la Cilicia come una regione estremamente selvaggia, pericolosa e ribelle, esposta alle invasioni dei popoli da Oriente e infestata dai pirati che avevano la loro roccaforte ad Alanya. Lo storico Plutarco racconta come, alla metà del I sec. a.C., l’armata di Pompeo riuscì a sconfiggere il flagello del mare, catturando novanta navi dotate di speroni di bronzo e facendo 20.000 prigionieri cilici. Il covo dei pirati ad Alanya venne trasformato dai Romani nella città fortificata di Coracaesium, che a sua voltadivenne nel XIII secolo cittadella e residenza dei sultani Selgiuchidi. [34311] A partire dal II millennio a.C. Hittiti, Assiri e Persiani si erano impadroniti della Cilicia, l’unica regione orientale dell’Anatolia a possedere uno sbocco verso il Mediterraneo. Viceversa per Greci e Romani, ed in seguito per Bizantini e Crociati - quest’ultimi costretti ad attraversare l’inospitale Cilicia per recarsi in Palestina - la regione diventò la porta verso l’Oriente, ultimo approdo degli eserciti prima di spingersi nelle terre desertiche. Lungo tutta la costa vennero erette numerose fortezze, castelli, torri e chiese, riutilizzate e trasformate nel XIV secolo dai conquistatori Ottomani. Due città della Cilicia sono rimaste celebri nella storia: Tarso, perchè vi nacque l’apostolo Paolo, e Silifke - l’antica Seleucos - perchè vi annegò nel 1190 l’imperatore Federico Barbarossa, durante la III Crociata per liberare Gerusalemme. [34321] Distrutta e ricostruita più volte nel corso dei secoli, Anamurion è disseminata di rovine di tutte le epoche - ellenistiche, romane, siriane, cipriote, armene e bizantine - e possiede una delle più vaste necropoli della Turchia che occupa un’intera collina, chiamata anche la città dei morti. Nel XIII secolo i re della Piccola Armenia, che si erano stanziati negli altopiani orientali, costruirono alle porte di Anamurion - abbandonata dopo le violente incusioni arabe nel VII secolo - una possente fortezza, il Marmuriye Kalesi, in seguito ampliato e ristrutturato dagli Ottomani che vi inserirono una piccola moschea. [34331] Uzuncaburç - Olba per i Seleucidi, Diocaesarea per i Romani - è oggi un villaggio di poche case in cima ad un pianoro del massiccio del Tauro. Una ripida strada serpentina sale faticosamente dalla costa fino in vetta dove si trova il grandioso Tempio di Zeus Olbios - eretto in ordine corinzio in epoca ellenistica - che ha conservato gran parte delle sue slanciate colonne. Due porte maestose, i resti di un ninfeo, vari frammenti scolpiti e le colonne superstiti del Tempio di Tyche costituiscono il testamento di questa città, un tempo residenza ambita di nobili Greci e Romani, tanto che venne chiamata città felice. L’area archeologica intorno ad Uzuncaburç è ancora poco esplorata, ma tra i dirupi sono stati scoperti numerosi sepolcri monumentali ed alcune tombe-pilastro, sarcofagi eretti in cima ad un monolite, inaccessibili agli animali selvatici e ai predatori di tesori. [351] Alla fine del I sec. d.C. nell’Anatolia occidentale si cominciano a formare le prime comunità cristiane a seguito delle predicazioni degli Apostoli - primo fra tutti San Paolo - rivolte alle numerose comunità ebraiche e agli strati più umili della popolazione pagana. Nel libro dell’Apocalisse dell’Evangelista Giovanni -vissuto a lungo in Anatolia -appare la prima visione delle Sette Chiese dell’Asia Minore che costituiscono una tappa fondamentale nella diffusione e nella formazione del cristianesimo. [3511] Efeso è un raro esempio di antica città, che ha mantenuto la magnificenza e la vitalità sino ai giorni nostri. Passeggiando per le sue rovine possiamo ancora sentire l’eco dei tempi passati. [35111] Le cronache religiose raccontano che l’Evangelista Giovanni, prima di venir esiliato sull’isola di Patmos, trovò rifugio a Efeso insieme a Maria, madre di Cristo, che qui sarebbe vissuta fino alla sua morte. Per onorare la Madonna venne eretta nel IV secolo una chiesa tra le cui mura si svolse, nel 431 d.C., il Terzo Concilio Ecumenico nel quale vennero affrontati dei dogmi fondamentali per la dottrina cristiana. [35121] L’unico edificio di culto che ancora oggi può testimoniare l’importanza delle Sette Chiese è la basilica di San Giovanni a Selçuk, alle porte dell’antica Efeso, eretta sulla collina di Ayasuluk non lontana dal Tempio di Artemide. La leggenda vuole che su quella collina fosse sepolto l’Evangelista Giovanni, a cui i suoi discepoli dedicarono un piccolo martyrium. L’imperatore cristiano Giustiniano finanziò nel VI secolo la costruzione dell’immensa basilica, facendo recuperare le pietre ed i marmi dell’Artemision e dell’Agorà di Efeso, ormai in rovina. La chiesa, preceduta da un portico colonnato e da un nartece, era concepita con un’unica grande navata decorata con mosaici e affreschi che illustravano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Il grandioso complesso, che servì da riparo alla popolazione durante le incursioni arabe dell’VIII secolo, venne successivamente trasformato in moschea ed in seguito abbandonato. [35131] Efeso fu anche luogo di miracoli: la Grotta dei Sette Dormienti è stata meta di pellegrinaggi fino al XV secolo per commemorare il sonno durato 200 anni di sette giovani cristiani, sfuggiti così alle terribili persecuzioni dell’imperatore Decio nel III sec. d.C. I Sette si risvegliarono nel V sec. d.C., quando ormai il cristianesimo era diventato religione di stato ed essi potevano professare liberamente il loro credo. [3521] Laodicea venne fondata alla metà del III sec. a.C. dal re seleucide Antioco II, che dedicò la città alla sua sposa di nome Laodice. In epoca romana la città divenne un importante centro commerciale - era famosa per la produzione della lana - e nel 51-50 a.C. vi si stabilì Cicerone come governatore della Provincia dell’Asia. Laodicea era abitata da una fiorente comunità ebraica - i Romani confiscarono enormi somme destinate al Tempio di Gerusalemme - che aveva ospitato i primi predicatori cristiani nelle sue sinagoghe. Numerose furono le chiese erette tra il IV e il VI secolo in Laodicea - sede anche di un importante Concilio - ma praticamente nulla si è conservato ai giorni nostri. [3531] Philadelphia, fondata dal re di Pergamo Attalo II Philadelphos nel II sec. a.C. sulle rovine di un antica città della Lidia, era celebre per i suoi templi, ma venne distrutta più volte dai terremoti. Così anche della chiesa principale - che la tradizione vuole sia stata fondata dallo stesso San Giovanni - non sono rimasti che pochi pilastri. [3541] Sardi, potente capitale della Lidia dall’VIII al VI sec. a.C., era celebre per la grande quantità d’oro che gli abitanti raccoglievano setacciando il fiume Pactole. L’oro determinò la fortuna, ma anche la maledizione della città che venne saccheggiata e occupata dai Persiani nel VI sec. a.C., strappandola dalle mani di Creso, re dalla leggendaria ricchezza. Fiorente centro in epoca ellenistica e romana, Sardi divenne sede episcopale quando l’imperatore Costantino decretò nel IV secolo il cristianesimo come religione di Stato. Della presenza di ebrei e cristiani testimoniano oggi alcune rovine di chiese erette sopra i templi pagani e una sinagoga costruita in una basilica civile. [3551] Smirne - oggi la moderna e vivace città di Izmir - era una delle prime colonie greche in Asia Minore e, grazie alla sua posizione strategica nel cuore della costa Egea, rimase in tutte le epoche e sotto ogni dominio una delle più importanti città della Turchia. Il cristianesimo si diffuse già al tempo di San Giovanni ed ebbe il suo primo martire in San Policarpo, il vescovo della città all’inizio del II secolo che venne messo al rogo dai Romani. Sul luogo del martirio venne eretta una basilica della quale però non c’è traccia, se non alcune croci di marmo trovate nell’agorà romana. [3561] Thyateira faceva parte del regno della Lidia e, a partire dal III sec.a.C., divenne roccaforte prima degli Attalidi di Pergamo e poi dei Romani. Dell’antica città non rimangono che un portico e una basilica romana, mentre le poche pietre superstiti delle chiese cristiane sono esposte nel museo locale o inglobate nei muri delle moschee. [3571] Pergamo, donata dai sovrani Attalidi a Roma nel II sec.a.C., fu la prima città in Anatolia ad istaurare il culto per gli imperatori romani, una pratica che inorridì l’Evangelista Giovanni che vide nella statua di Augusto nel Tempio di Atena il trono di Satana. Nel IV sec. d.C. vennero smantellati tutti i templi e la comunità cristiana eresse nel Serapeion una grande basilica dedicata a San Giovanni, conosciuta con il nome di Corte Rossa [361] Thalassa, thalassa, mare, mare - gridarono alla vista della costa i sopravvissuti dell’esercito dei Diecimila - i mercenari greci guidati da Senofonte che avevano combattuto in Persia - dopo un’estenuante marcia attraverso le aride terre dell’Armenia e dell’Anatolia orientale. La scena descritta da Senofonte nel libro Anabasi, del V sec. a.C., ci spiega anche l’importanza strategica del Mar Nero: in antichità significava salvezza, cibo e protezione per i Greci, che fin dall’ VIII sec. a.C. vi avevano fondato numerose colonie. Acque profonde dal colore azzurro cupo, un litorale frastagliato, una vegetazione rigogliosa e monti coperti da fitte foreste che scendono a precipizio verso la costa caratterizzano le regioni del Mar Nero che gli antichi suddividevano in Paflagonia, Bitinia e Ponto. [3611] Intorno all’ VIII sec. a.C. i Greci di Mileto fondarono le prime colonie sul Ponto Eusino, il mare ospitale, conosciuto già dai racconti mitologici che vedevano come protagonisti le Amazzoni, gli Argonauti, Prometeo e Medea. Nei secoli successivi i coloni greci e le popolazioni autoctone subirono ripetutamente le invasioni dei Cimmeri e dovettero piegarsi di volta in volta ai Frigi, ai Lidii e ai Persiani. Nel IV sec. a.C. Mitridate II fondò il Regno del Ponto, per lungo tempo fedele alleato di Roma, ma poi, con la salita al trono di Mitridate VI, divenne accerrimo nemico dei Romani:nel I sec. a.C. vennero combattute tre Guerre Mitridatiche, vinte infine dai consoli romani Lucullo e Pompeo. Nel Medioevo Bisanzio estese il suo dominio su molte città del Mar Nero -Sinope, Samsun e Trebisonda - che diventarono tappe fondamentali sulla rotta commerciale verso i territori orientali. Tra il XIII e il XIV secolo si consolidò il potere dei Selgiuchidi e dei Turcomanni, provenienti dall’Asia centrale, ed ebbe così inizio l’espansione turca che trovò il suo apogeo nell’Impero Ottomano. Da sempre le città del Mar Nero vivono di commercio, pesca e agricoltura - oggi anche di turismo - e hanno conservato l’architettura tradizionale della case anatoliche, costruite su una solida base di pietra sormontata da un piano sporgente sorretto da travi e da un telaio di legno, talvolta lasciato a vista, oppure intonacato. [3621] Trabzon - l’antica Trapezunte, chiamata così per la cittadella a forma di trapezio - è una città-frontiera che nel tempo ha assunto il carattere di piccola capitale e per un certo periodo lo è stata davvero: nel 1204, quando Costantinopoli fu devastata dai Crociati, il principe bizantino Alessio Comneno fuggì a Trabzon e fondò il Regno greco di Trebisonda, dominio che resistette fino al 1461, quando il resto della Turchia era già profondamente islamizzato e governato dai Sultani ottomani. [36211] Considerata dai Bizantini l’ultimo baluardo della cristianità in Anatolia, Trabzon venne colmata di chiese e monasteri: a tutt’oggi si contano 7 conventi e 20 chiese, antichi luoghi di culto in parte trasformati in moschee, altri in museo, oppure abbandonati e diroccati come i monasteri di Kizlar e di Kaymakli. Inglobate tra le case del centro storico, le chiese-moschee di Trabzon sono un armonioso esempio della fusione tra elementi architettonici bizantini e musulmani: il più delle volte - come nella moschea di Yeni Cuma, ex-chiesa di Sant’Eugenio del XIII secolo - viene mantenuta la pianta a croce greca, con tre absidi e il matroneo, a cui si aggiunge la nicchia del mihrab, il podio del minbar e un minareto appuntito. Non tutte le chiese vennero trasformate in moschee e bisogna anche ricordare che al tempo dei Sultani ottomani vigeva la libertà di culto, tanto che a Trabzon vennero erette diverse chiese cristiane di rito greco e latino fino al XIX secolo. [36221] Al centro di un giardino affacciato sul mare sorge la Chiesa bizantina di Santa Sofia, eretta nel XIII secolo, poi trasformata in moschea ed infine adibita a museo. Tre grandi portali ad atrio con colonne e fregi danno accesso all’interno della chiesa, concepita con pianta a croce greca ed un ampia cupola sorretta da pilastri e colonne di marmo. Gran parte degli affreschi che decorano le pareti, il nartece ed i soffitti sono stati recuperati e restaurati. Le pitture denotano forti influssi orientali, giunti nella remota provincia bizantina dalla Georgia, dall’Armenia e perfino dalla Siria. A guardia sul mare, Santa Sofia divenne un punto di riferimento per i marinai che incisero diverse immagini di navi sul muro esterno, che oggi costituiscono un piccolo catalogo delle imbarcazioni in uso sul Mar Nero tra il XV e il XVIII secolo. [3631] L’esclusione dal mondo, l’eremitaggio e il rifiuto della vita secolare fu una prerogativa del monachesimo greco-orientale che trovò numerosi adepti nelle comunità religiose dell’Anatolia. Le foreste impenetrabili ed i monti a strapiombo del Ponto dovevano sembrare il luogo ideale per nascondervi conventi inaccessibili, e tale doveva apparire ai pellegrini il Monastero di Sumela, abbarbicato su un balcone naturale che sporge dall’alto di una parete rocciosa dei monti Zigana. [3641] Il litorale del Mar Nero è così stretto che viaggiando verso l’interno ci si trova immediamente in montagna, in un paradiso verde dove, grazie al clima mite e umido, cresce ogni genere di piante. I tortuosi sentieri che portano in alta quota, fino a tremila metri, ad un certo punto si fermano: non vi sono passaggi nella catena montuosa dei Karadeniz Daglari. [36411] Incorniciato dalle vette dei monti, affacciato sulle acque limpide di un lago che specchia i sottili minareti della moschea, il villaggio di Uzungöl appare alla fine di una ripida strada come una visione d’altri tempi: sembra una cartolina stampata apposta per stupire i viaggiatori. Un tempo questi isolati villaggi erano abitati soltanto da pastori che conducevano le loro greggi nelle ampie vallate tra i monti, mentre ai giorni nostri quelle isole di pace si stanno trasformando in luoghi di villeggiatura, ricercati per la temperatura piacevolmente fresca d’estate e per gli sport invernali nei lunghi mesi di gelo. [36421] L’Altopiano di Ayder è un luogo incontaminato tra prati e folti boschi color smeraldo, cascate e impetuosi torrenti nei quali saltano i salmoni, nevai che lentamente si sciolgono al sole primaverile e minuscoli villaggi dalle case di legno nascosti tra la fitta vegetazione. Sui fiumi si tendono dei bellissimi ponti ottomani di pietra o di legno ad una o più arcate, opera di capomastri armeni che si erano stabiliti nel XVII secolo nei monti Kaçkar. Qui regna una quiete assoluta e gli abitanti offrono volentieri ospitalità nelle yayla, i rifugi stagionali fatti di travi di legno, dove si può riposare, bere il tè locale e assaggiare i formaggi. [36431] Intorno alla città di Rize, nella parte più orientale del Ponto verso il confine con la Georgia, iniziano le piantagioni di tè, il pregiato çay turco coltivato a terrazzamenti sul pendìo dei monti. Nell’Ottocento la pianta del té venne importata dagli Ottomani dall’India e divenne la principale risorsa della regione. Gli sterminati campi di cespugli tagliati a cupola producono tre raccolti l’anno, dando occupazione a molta gente: sulle colline scoscese non si possono usare trattori o carri e tutti i lavori vengono eseguiti a mano ed i carichi sono portati faticosamente a spalla o appesi a delle funi tese tra i monti e le capanne di essiccazione. [371] È impossibile non farsi catturare dalla bellezza selvaggia delle terre orientali della Turchia che si estendono oltre l’Eufrate, l’immenso fiume che nasce tra i monti Karasu e continua il suo corso attraverso l’altopiano anatolico, la Siria e l’Iraq per gettarsi, dopo quasi tremila chilometri, nel Golfo Persico. Molti popoli hanno premuto alle porte di quella terra di frontiera per prenderne possesso: Babilonesi, Assiri, Cassiti, Hittiti, Hurriti, Persiani e, più tardi, Armeni, Bizantini, Mongoli, Selgiuchidi e Ottomani, civiltà e culture che hanno lasciato profonde tracce del loro passaggio. [3712] Tra i monti e le vallate impervie dell’Anatolia orientale passava la Via della Seta e dobbiamo immaginare carovane cariche di merci preziose, bestie da soma, scorte armate e mercanti e viaggiatori intrepidi - come Marco Polo o Ibn Battuta - che si avventurarono su piste tortuose e pericolose, percorse in antichità già da Persiani, Greci e Romani, dagli invasori Mongoli, dai soldati Bizantini e dalle truppe di Tamerlano. [3711] L’immenso letto dell’Eufrate -che in turco si chiama Firat - nasce dalla confluenza di due fiumi, il Murat e il Karasu, e per sfruttare meglio l’abbondate flusso delle sue acque sono state create due gigantesche dighe, il Keban e l’Atatürk Baraji, che hanno sommerso molte terre e villaggi. Oltre l’Eufrate inizia un altopiano sterminato dove si alternano vaste regioni steppose con vallate verdi spazzate dai venti gelidi d’inverno e soffocate dalla calura dell’estate. Massicci vulcanici, catene montuose con picchi oltre i tremila metri e impetuosi fiumi dalle acque color miele disegnano un paesaggio di grande suggestione, selvaggio e lirico, violento e quieto, e mai monotono. [3722] Malatya è una città relativamente moderna, sorta nel fertile altopiano della catena montuosa del Tauro orientale, non lontano dall’Eufrate e che deve la sua fama ai siti antichi che si trovano nelle sue vicinanze: Arslantepe, abitata fin dal IV millennio a.C., diventata poi feudo degli Hittiti e degli Urartei, e Eski Malatya, l’antica Melitene, teatro di violenti combattimenti tra Bizantini e Arabi dall’VIII al X secolo. [3721] La Grande Moschea, o Ulu Cami, venne fondata nel VII secolo dagli Arabi giunti dall’Iraq ed è una delle più antiche moschee della Turchia. Più volte distrutta e ricostruita, la struttura attuale risale al XIII secolo - al periodo selguichide - con alcune aggiunte ottomane del XV secolo. La Moschea possiede una vasta corte con iwan - un vestibolo coperto - e una sala di preghiera appena illuminata dagli oblò della cupola, costruita in mattoni con scanalature di maioliche turchesi. [3732] Nell’XI secolo i Selgiuchidi diedero alla città il nome Arz ar-Rum, terra dei Romani, intendendo con Rum i territori dei Bizantini, cioè dell’Impero Romano d’Oriente. Importante città-sosta sulla Via della Seta, Erzurum divenne la prima capitale dei Selguichidi - in seguito verrà creato il Sultanato del Rum con capitale Konya - ed in seguito fu occupata per breve periodo dai Mongoli islamizzati, prima di venir conquistata nel XV secolo dagli Ottomani. [3731] Per le carovane, che per settimane avevano percorsi le piste di terre aride, Erzurum doveva apparire come una visione che si annunciava da molto lontano per la selva di minareti, torri e cuspidi che emergevano dalla conca verde di un vasto altopiano. Nel 1939 la città fu scossa da un terribile terremoto che costò la vita a 40.000 abitanti e fece crollare gran parte dei monumenti dell’antica cittadella, faticosamente recuperati negli ultimi cinquant’anni. La çifte Minareli Medresesi è un’antica scuola coranica del XIII secolo, costruita dai Sultani selguichidi secondo il modello iraniano con un grande portale di marmo affiancato da due minareti di mattoni, decorati da maioliche, e un cortile circondato da quattro iwan porticati. Alle spalle della Medresesi venne eretto nel 1255 il mausoleo Hatuniye Türbesi, una delle tombe monumentali più importanti di Erzurum insieme al gruppo delle Üç Kümbetler, tre mausolei dell’XI secolo che ricordano nella struttura le tende dei nomadi. Poco distante dal castello medievale sorge la moschea più antica, la Ulu Cami dell’XI secolo completamente ricostruita dopo il terremoto, mentre la scuola coranica Yakutiye Medresesi, del XIV secolo, venne eretta durante la dominazione dei Mongoli e possiede un portale interamente scolpito che reca su entrambi i lati dei bassorilievi che raffigurano due leoni accanto ad una palma. [3742] Tra il VI secolo e l’anno Mille i territori che anticamente facevano parte del Regno di Urartu, vennero occupati dai Bizantini e dai cristiani monofisiti armeni che costruirono la loro capitale ad Ani, sul confine con l’attuale Armenia. In tutta la regione nacquero numerose chiese e monasteri, costruiti spesso in luoghi isolati, come ad esempio la splendida chiesa episcopale di Ishan, sorta tra le ripide pendici del monte Aksek. [3741] Fondata all’inizio del VII secolo, la chiesa venne ampliata e ristrutturata nell’XI secolo con l’aggiunta di colonne tortili e di una grande cupola sormontata da una cuspide. Privo del tetto ma per il resto perfettamente restaurato, l’edificio ha conservato la navata principale con deboli tracce di affreschi e l’abside a ferro di cavallo con colonnine e bifore decorate a motivi floreali, tra cui risalta il particolare delle foglie triangolari a spatola. Le mura esterne di pietra rosata e le arcate delle porte e delle finestre sono decorate con fregi finemente scolpiti che raffigurano animali e creature fantastiche, simboli religiosi ed intrecci geometrici. [3751] Il palazzo-serraglio di Ishak Pasha è certamente uno dei monumenti più suggestivi di tutta la Turchia. Innanzitutto per la posizione emergente del palazzo, affacciato sul vasto altopiano di terra vulcanica che circonda il Monte Ararat, e poi per la magnificenza e la nobiltà architettonica del vasto complesso ottomano che venne costruito nel XVIII secolo dai governatori curdi della regione, Abdi Pasha e Ishak Pasha. [37511] Sorto in posizione strategica sul confine con l’Iran accanto ad un’antica roccaforte urartea, protetto da possenti mura e accessibile da un solo portale riccamente decorato, l’Ishak Pasha Sarayi è concepito come una cittadella indipendente con due grandi cortili, una moschea con la scuola coranica, gli appartamenti padronali, i saloni di rappresentanza, l’harem, le stanze per la guarnigione, le scuderie, le prigioni sotterranee, le cucine ed i bagni: complessivamente si possono contare 366 stanze. Nelle cronache si legge che Ishak Pasha cadde in disgrazia presso il grande Sultano Selim III, ingelosito dalla sontuosità di quel palazzo che, si dice, voleva rivaleggiare con il Topkapi Saray di Istanbul. L’originale elaborazione di motivi ornamentali classici, la selezione sapiente dei materiali di costruzione e il sobrio disegno architettonico, che riesce ad evitare ogni forma di leziosità, fanno dell’Ishak Pasha Sarayi un capolavoro assoluto, dove si fondono armoniosamente elementi e stili che ricordano l’arte selgiuchide, persiana, armena e ottomana. [37521] Di fronte all’Ishak Pasha Sarayi, mimetizzata tra le rocce, si erge un’imponente fortezza urartea risalente all’VIII sec. a.C., quando il Regno di Urartu, con capitale sul Lago di Van, era all’apogeo del suo potere. Alla base della cittadella vennero scoperte una cinquantina di tombe scavate nella roccia, anch’esse presumibilmente appartenenti al periodo urarteo. [3762] Il possente vulcano Ararat, dalla vetta eternamente innevata, si eleva maestoso e isolato dall’altopiano che segna il confine con l’Armenia e l’Iran. In verità il massiccio dell’Ararat conta due coni vulcanici - il Grande Ararat, detto in turco Büyük Agri Dagi, che raggiunge i 5.165 metri d’altitudine, e il Piccolo Ararat, chiamato Küçük Agri Dagi, alto soltanto 3.925 metri -che sono tutt’ora pericolosamente attivi: l’ultima disastrosa eruzione, seguìta da un terremoto, avvenne nel 1986. [3761] Secondo la Bibbia sul Monte Ararat si sarebbe arenata l’Arca di Noè, in attesa della fine dei quaranta giorni di Diluvio Universale, ma la storia è controversa: scientificamente manca ogni prova di questo avvenimento anche se alcuni esploratori, per nulla scoraggiati, continuano a cercare le improbabili testimonianze dell’Arca biblica sull’Ararat. Secondo le fonti islamiche il monte del Diluvio Universale potrebbe essere identificato con il Cudi Dagi, sul confine con la Siria, mentre per gli Armeni l’Arca si sarebbe posata su un’altura vicino al Lago di Van. Infine, leggendo la più antica testimonianza della grande alluvione, il Poema di Gilgamesh del II millennio a.C., il mitico monte dovrebbe trovarsi in Mesopotamia, nelle regioni bagnate dal fiume Tigri. [3771] Tra il IX e il VI sec. a.C. il Lago di Van era il cuore del Regno di Urartu, una grande civiltà guerriera di origine hurrita, celebre per le sue architetture militari ed i lavori in metallo che venivano esportati fin nelle regioni del Mediterraneo. Nei primi secoli della nostra Era il lago di Van diventò un’importante feudo armeno e bizantino fino a quando non dovette arrendersi, nel 1O71, alle armate selgiuchide nella celebre battaglia di Manzikert. [37711] Nel 832 a.C. il re urarteo Sadur I costruì su una rupe l’imprendibile cittadella di Tushpa. Protetta naturalmente dalle rocce scoscese e rafforzata da mura ciclopiche e massicci torrioni, la fortezza di Tushpa resistette agli assedi degli Assiri e dei Babilonesi per quattro secoli e soltanto nel 585 a.C. il Regno di Urartu si frantumò dopo la disfatta nella guerra contro i Medi. La parte più interessante della cittadella, che si trova al marigine dell’attuale città di Van, è costituita da un vasto recinto sacro - probabilmente dedicato alla massima divinità degli Urartei, il dio Haldi - e dalle tombe rupestri monumentali dei re Menua, Sardur II e Argishti I, che recano lunghe iscrizioni in lingua urartea con lettere cuneiformi assire. Il testo di Argishti I dell’VIII sec. a.C. - detto anche cronaca Horhor - racconta delle campagne militari del re ed elenca i suoi tesori in oro, argento e bronzo. In epoca selgiuchide e ottomana la cittadella e l’antica città di Tushpa vennero ampliate e dotate di nuovi bastioni, e vi furono aggiunti minareti e moschee, di cui due - la Hüsrev Pasha Camii e la Kaya Celebi Camii - costituiscono un buon esempio di architettura ottomana del XVI secolo, mentre la più antica -la Ulu Cami - è crollata durante un terremoto che ha distrutto l’intera città di Tushpa. [37721] L’invulnerabile Regno di Urartu era come un’isola in mezzo all’Impero Assiro e riuscì a resistere ai ripetuti assalti dei nemici grazie ad una rete di fortificazioni che cingevano ad anello tutti i possedimenti dei re urartei. Soprattutto sul confine con la Persia vennero erette numerose cittadelle, in parte sopravvissute fino ad oggi come Hoshap, Toprakkale, Kürzüt e Çavushtepe. La fortezza di Çavushtepe venne costruita sul crinale di due colline al tempo di Sardur II, nell’VIII sec. a.C., con mura ciclopiche, torri e scale tagliate nella roccia. Nella cittadella alta si trovava il palazzo reale, del quale si sono conservati alcuni tamburi di colonne, mentre nella fortezza bassa erano sistemati i magazzini, le cisterne, l’archivio e i ricoveri per i soldati. Il grande Tempio quadrato di Irmusini presenta un altare con scanalature per far defluire il sangue degli animali sacrificati e reca una lunga iscrizione dedicata al dio Haldi. [37731] Intorno all’anno Mille i territori del Lago di Van formavano il Regno di Vaspurakan, nato dai precedenti principati armeni. Magnifici monasteri e chiese vennero fondate in tutta la regione, di cui la più suggestiva è certamente la Chiesa della Santa Croce, eretta sulla piccola isola di Akdamar, in mezzo al Lago di Van. Costruita in pietra rossa nell’anno 921, la chiesa di Akdamar possiede delle straordinarie decorazioni a bassorilievo su tutte le facciate, che un tempo erano ornate anche da dorature e pietre preziose. Gran parte dei rilievi raffigurano santi e profeti, martiri e padri della chiesa, mentre le sculture più belle illustrano storie bibliche , tra cui Adamo e Eva nel Paradiso, Giona nel ventre della balena, David che combatte Golia e il Sacrificio di Abramo. Storie del Vangelo, scene di cruenti battaglie e numerosi animali reali e fantastici completano il quadro. Intorno alla chiesa sono state trovate molte stele tombali provenienti dalle rovine urartee, sulle quali gli Armeni incisero croci e iscrizioni religiose. [37741] Sul versante occidentale del Lago di Van sorge Ahlat, un tempo fortezza urartea, divenuta poi capitale dei Parti ed infine eletta residenza dai principi musulmani provenienti dall’Azerbaijan. Numerosi mausolei circolari con il caratteristico tetto conico, risalenti per lo più al XIII-XV secolo, sono sparsi tra le colline ed i campi, tra cui emerge la bellissima Emir Bayindir Kümbeti, dotata di una loggia sorretta da colonnine e una moschea annessa al sepolcro. Ai piedi dei mausolei si estende un vasto cimitero islamico con centinaia di stele tombali finemente incise su tutti i lati con motivi floreali e iscrizioni coraniche. Dell’antica città di Ahlat non sono rimaste che delle rovine affacciate su un torrente: molte pietre sono state reimpiegate dagli abitanti per costruire le loro case, in parte scavate sul fianco della rupe dove un tempo sorgeva la cittadella urartea. [37751] Le origini degli Urartei sono oscure e forse questa popolazione discendeva dalla stirpe degli Hurriti siriani che si erano stabiliti intorno al Lago di Van nel XVIII sec. a.C.. La regione venne chiamata dagli Assiri Nairi e con questo stesso nome compare spesso nelle antiche cronache. Il fondatore del regno, di cui abbiamo notizie certe, è Sardur I che costruisce la cittadella di Tushpa nel IX sec. a.C.. L’apogeo del Regno di Urartu coincide con la salita al trono di Argishti I (785-760 a.C. circa) che allarga i confini dall’Eufrate ad Aleppo, dal Lago di Urmia in Mesopotamia ai monti della Georgia. Nel secolo successivo neppure i potenti sovrani assiri Tiglath-pileser e Sargon II riescono a sottomettere gli Urartei. I primi segni di decadenza si avvertono nel VII sec. a.C., durante il regno di Rusa II (685-645 a.C. circa), che vede invadere le sue terre da tribù guerriere nomadi e dagli Sciti. Con Sardur III la potenza urartea viene definitivamente spezzata e nel VI sec. a.C. viene nominato una serie di re di breve durata. Anche la fine di Urartu è oscura: l’ultima menzione del Regno appare nelle tavolette babilonesi che parlano di una vittoriosa spedizione militare dei Medi Persiani nelle terre intorno al Lago di Van nel 585 a.C.. [3781] Vattene dalla tua terra, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che ti indicherò: con queste parole Dio ordina ad Abramo di abbandonare la Mesopotamia e di guidare la sua famiglia verso la terra di Canaan. La migrazione di Abramo avviene probabilmente nel XIX sec. a.C., quando il patriarca risale l’Eufrate e, prima di proseguire verso la Siria e la Palestina, sosta nella regione di Harran, nella città che oggi viene chiamata Sanliurfa. [37811] Città di grandi tradizioni e costumi orientali, Urfa era conosciuta nelle cronache mesopotamiche come Hourri, il paese delle grotte nel quale veniva adorato il dio della Luna, Sin. Dopo la conquista di Alessandro Magno, la città ricevette il nome di Edessa e divenne il principale baluardo dell’ellenismo nel Medio Oriente. Per secoli crocevia delle armate di tutte le bandiere - romane, arabe, bizantine, siriane, selgiuchide e crociate - Urfa viene a far parte dell’Impero Ottomano soltanto nel 1637. I santuari della città - dimora di profeti e santi dell’Islam - sono meta di numerosi pellegrinaggi, specialmente alla moschea, alla casa e al lago sacro di Abramo, il patriarca biblico venerato ugualmente da Ebrei, Cristiani e Musulmani. [37821] Poco distante da Urfa sorge Harran, la città delle capanne d’argilla, fondata nel III millenio a.C. e che era abitata da una popolazione che adorava gli dèi del Sole e della Luna. Anche in questo luogo - si legge nella Bibbia - Abramo avrebbe piantato le sue tende per far riposare la sua tribù. Nella storia romana Carrhae - così era chiamata Harran a quell’epoca - viene ricordata per una serie di catastrofi: la bruciante sconfitta delle legioni di Crasso nel 53 a.C., l’assassinio nel 217 d.C. dell’imperatore Caracalla all’uscita del Tempio e l’ingloriosa fine dell’esercito di Galerio, vinto dai Sassanidi Persiani. [41] Imperatori, sultani, letterati e artisti hanno condizionato la storia della Turchia, regnando e operando talvolta con saggezza e per il bene della nazione, talvolta spinti invece da interessi personali, sfruttando il loro potere per la sola brama di gloria. [412] Come non identificare Costantinopoli con il suo fondatore, l’imperatore romano Costantino? La piccola città greca diventerà una grande capitale proprio grazie alla lungimiranza di questo sovrano. [411] Flavio Valerio Costantino, figlio dell’imperatore delle terre occidentali Costantino Cloro, nasce intorno al 280 d.C., al tempo della tetrarchia - in quel periodo vi sono stati da tre a sette augusti che si dividevano l’Impero Romano. Costantino viene proclamato imperatore dal suo esercito dopo le vittoriose battaglie combattute in Britannia. Nel 312 d.C. sconfigge a Roma il suo rivale Massenzio e nel 313 d.C. pubblica l’editto di Milano che legalizza il cristianesimo. Il potere è ora diviso tra Costantino e l’augusto d’Oriente Licinio: quando quest’ultimo riprende le persecuzioni contro i cristiani, Costantino lo fa giustiziare e, nel 324 d.C., resta unico imperatore. Nel 330 d.C. stabilisce la nuova capitale dell’Impero a Bisanzio che in seguito prenderà in nome di Costantinopoli. Costantino promuove riforme economiche, militari e territoriali e divide l’Impero in 4 prefetture (Oriens, Illyricum, Italia e Gallia), in 14 diocesi e 117 province. Costantinopoli viene ricostruita completamente per essere la degna capitale del grande Impero Romano e, sotto l’influenza dei vescovi diventa il riferimento di tutta la chiesa cristiana d’Oriente. Costantino muore a Nicomedia nel 337 d.C., dopo aver ricevuto il battesimo, e il regno sarà suddiviso tra i suoi tre figli. [422] Osannato e calunniato, amato e odiato, Giustiniano rappresenta il tipico monarca bizantino, grande riformatore, ma anche crudele despota che nulla risparmia ai sudditi. [421] Nipote e successore di Giustino I, Giustiniano sale sul trono di Costantinopoli nel 527 e, come primo atto di governo, riorganizza l’amministrazione delle province dell’Impero d’Oriente, riforma l’esercito e stabilisce un nuovo codice legislativo, il Corpus Iuris Civilis. Coinvolto in guerre su tutti fronti - dai Balcani alla Spagna, dall’Italia al Nord Africa, dove i suoi generali Belisario e Narsete sconfiggono i Vandali nel 533 - Giustiniano diventa il massimo difensore del cristianesimo, prendendo misure radicali contro ogni forma di paganesimo: chiude definitivamente le scuole di filosofia greca, perseguita gli ebrei ed i cristiani ritenuti eretici, e ricostruisce la Basilica di Santa Sofia, emblema della fede cristiana. Uomo politico dotato, ma anche avido e vendicativo, Giustiniano antepone sempre di più gli interessi privati agli affari di Stato e reprime nel sangue ogni forma di opposizione. Le colpe dei tanti misfatti vengono addebitati alla moglie Teodora - donna di facili costumi come la definisce il biografo di quei tempi, Procopio - prima amante e poi sposa e imperatrice, che sembra avesse soggiogato e trascinato nella corruzione non soltanto l’imperatore ma l’intera corte di Costantinopoli. [432] E’ grazie al biografo Procopio se noi oggi possiamo conoscere gli albori dell’Impero bizantino, nella sua grandezza e nei suoi torbidi intrighi. [431] I dati sulla sua vita sono incerti: Procopio, grande storiografo bizantino, nasce tra il 490 e il 507 a Cesarea in Palestina da famiglia nobile e, trasferitosi a Costantinopoli, diventa consigliere e segretario del generale Belisario, seguendolo poi nelle campagne militari in Africa e in Italia contro i Vandali e gli Ostrogoti. Ricco di quell’esperienza, Procopio scrive tra il 540 e il 553 la Guerra gotica, un libro che mostra la sua straordinaria capacità narrativa su uomini, luoghi ed eventi. Capace di distinguere tra le opportunità di corte e la realtà dei fatti, Procopio compone tra il 554 e il 558 due testi molto diversi tra loro: da un lato esalta le opere dell’imperatore Giustiniano nel De aedificiis, dall’altro svela le nefandezze perpetrate dallo stesso Giustiniano e da sua moglie Teodora nel libro Anecdote, le terribili storie segrete di Bisanzio, in cui l’imperatore appare come un uomo debole e codardo, vittima del comportamento scabroso di Teodora, abile tessitrice di intrighi e - come dice Procopio - somma creatrice di spudoratezze. [442] Quando Maometto II prende il potere, l’Impero ottomano allarga con violenza i suoi confini e conosce un lungo periodo di pace e prosperità all’interno delle sue frontiere. [441] Sull’Anatolia era appena passato il ciclone Tamerlano - il condottiero mongolo calato dall’Asia centrale e artefice della sconfitta temporanea dei Turchi ad Ankara - quando il sultano Maometto II decide, dopo quasi due anni di assedio, di sferrare il colpo di grazia a Costantinopoli. Il 29 maggio del 1453 le truppe di Maometto II invadono la città, Costantinopoli cade in mano musulmana e per la Turchia ha inizio una nuova era. Nato intorno al 1432, Maometto succede al padre Murat II nel 1451, quando alla quasi totale sottomissione dell’Anatolia manca soltanto Costantinopoli, capitale di un ex- impero senza potere, ormai indebolito e abbandonato dalla chiesa e dai suoi alleati. Dopo la vittoria Maometto II trasferisce la capitale del Sultanato da Bursa a Costantinopoli, ora chiamata Istanbul, ed inizia una serie di guerre di conquista, che vedono l’occupazione del Peloponneso, dell’Albania, della Serbia e delle colonie genovesi in Crimea. Maometto II è un sovrano intelligente e tollerante: ripristina in certa misura i privilegi commerciali delle Repubbliche marinare di Genova e di Venezia, è generoso verso i letterati e gli artisti – è celebre un suo ritratto del pittore veneziano Gentile Bellini - e lascia libertà di culto in un paese abitato da una moltitudine di etnie e confessioni. Il Sultano muore nel 1481, non ancora cinquantenne passa il regno a suo figlio Beyazit II Veli (1448-1512), detto il Santo, detronizzato qualche anno dopo per un colpo di mano dei Giannizzeri, che mettono sul trono Selim I (1467-1520), soprannominato il Crudele per la brutalità con la quale eliminerà gli oppositori e gli stessi suoi familiari. [452] Il XVI secolo costituisce l’apogeo dell’Impero ottomano che vede in Solimano I, soprannominato giustamente il Magnifico la massima espressione dell’autorità politica e culturale del paese. [451] Alla morte improvvisa del padre Selim I - colto dalla peste durante un viaggio - Solimano eredita nel 1520 un regno che comprende vasti territori che vanno dalla Mesopotamia alla Palestina, dall’Egitto alla Siria. Solimano I prosegue nella politica di espansione, si spinge fino alle porte di Vienna e conquista la penisola arabica e gran parte del Nord Africa con l’aiuto dei corsari, capeggiati da Kair ed-Din, il temuto Barbarossa, riuscendo in questo modo ad assoggettare quasi tutto il mondo arabo. Alle grandi capacità politiche, diplomatiche, militari e organizzative del Sultano - in oriente Solimano è chiamato kanoun, il Legislatore - si aggiungono l’amore per le arti e la poesia: egli stesso è autore di liriche composte sotto lo pseudonimo Muhibbi, e comprende il genio dell’architetto Sinan, al quale affida la direzione delle opere edilizie del regno. Condottiero intrepido, giuda personalmente le sue truppe in battaglia ed è proprio durante i combattimenti in Ungheria che Solimano, nel 1566, muore sul campo. Seyyid Loqman, storiografo dei Sultani nel 1579, così descrive Solimano: Un bel viso rotondo, fronte aggrottata, occhi azzurri, un naso da ariete. Una statura imponente e maestosa come quella di un aggraziato leone, una barba abbondante, un lungo collo e un ampio ventre, un bell’uomo dal petto largo e dalle spalle quadrate, lunghe dita, piedi e braccia forti, un sovrano senza paura, senza macchia e glorioso. [462] Artefice dello splendore dell’impero ottomano fu Sinan, l’architetto imperiale, chiamato da Solimano il Magnifico a dare un nuovo volto a Istanbul. [461] L’architetto Sinan è un tipico figlio del suo tempo: nato da una famiglia d’origine greca vicino a Kayseri in Cappadocia viene reclutato per prestare servizio nella milizia dei Giannizzeri, un corpo formato dai figli di nobili cristiani convertiti all’Islam che devono giurare fedeltà al sultano a costo della propria vita. Sinan fa una brillante carriera militare, partecipando a diverse operazioni belliche e distinguendosi nell’ingegneria militare. Nel 1538 viene chiamato da Solimano il Magnifico alla soprintendenza delle opere edilizie e mantiene questa funzione anche sotto i successivi sultani Selim II e Murat III. Sinan subisce certamente il fascino di Santa Sofia e della sua cupola, modello finora mai superato in architettura e ne accetta la sfida: sperimenta soluzioni innovative nella costruzione delle moschee ed esplora i limiti della struttura della cupola e raggiunge nella sua ricerca i massimi livelli e crea alcuni capolavori come la Süleymaniye Camii a Istanbul e la Selimiye Camii a Edirne. Il senso delle proporzioni, il gioco di archi piccoli e grandi, di corridoi e nicchie e l’ascesa graduale di semi- cupole e cupolette fino alla superba cupola centrale sono gli elementi che hanno consacrato Sinan quale sommo architetto ottomano, il Michelangelo della Turchia. A Sinan vengono attribuiti più di 350 edifici tra moschee, medresesi, palazzi, chioschi, mausolei, hammam e acquedotti, dei quali se ne sono conservati un centinaio. Sinan muore vecchissimo, a più di novant’anni, dopo un pellegrinaggio alla Mecca e sarà sepolto in un piccolo mausoleo accanto alla Süleymaniye Camii a Istanbul. [472] Viaggiatore, cronista e storiografo, Evliya Çelebi amava raccontare che la sua passione per i viaggi era nata con un sogno, nel quale gli era apparso il Profeta Maometto in persona per avvertirlo che avrebbe peregrinato per tutta la sua vita da un capo all’altro dell’Impero. [471] Nell’anno 1630, Evliya Çelebi, figlio di un ricco e rinomato orafo di corte, si mette in viaggio per il mondo annotando e riferendo minuziosamente tutto le cose viste, descrivendo ogni particolare, ogni evento e ogni personaggio incontrato lungo i suoi itinerari. I dodici volumi che compongo il suo Seyahat-name (il Libro dei viaggi) contengono la più precisa e preziosa documentazione che possediamo sulla società ottomana del XVII secolo. Osservatore acuto dei costumi dell’epoca e fedele cronista, Çelebi era tuttavia capace di grandi voli di fantasia, un affabulatore che sa mescolare sapientemente fatti realmente accaduti a racconti di pura invenzione. Çelebi scrive anche una storia dell’Impero ottomano e dei suoi sovrani, tra i quali ammirava soprattutto Solimano I: Durante i quarantasei anni del regno conquistò il mondo e sottomise diciotto monarchi - scrive - impose l’ordine e la giustizia nei suoi territori, penetrò vittoriosamente nelle sette regioni del globo, abbellì tutti i paesi domati con le armi e riuscì in tutte le sue imprese. [482] Dal XIII secolo il misticismo di Djelal ed-Din, il Mevlana, ha raccolto intorno a sé numerosissimi discepoli e ancora oggi possiamo assistere alle danze estatiche dei suoi dervisci. [481] Il Mevlana Djelal ed-Din, figlio di un teologo persiano del Khorassan, giunge all’inizio del XIII secolo a Konya, dove molti artisti e studiosi musulmani si erano dati convegno alla corte del Sultano selgiuchide Ala ed-din Kaykobad, mecenate e promotore delle arti. Il sufista Djelal ed-Din - chiamato Mevalana, mio signore e maestro - e suo figlio Veled fondano a Konya la confraternita dei dervisci, celebri per le loro danze estatiche che nascono da un episodio tragico nella vita del Mevlana: il suo discepolo prediletto, Shamas (sole) di Tabriz, era scomparso e forse ucciso per motivi di gelosia ed il maestro cercò allora consolazione nella danza fino allo stordimento e alla totale liberazione dello spirito per potersi ricongiungere con la persona amata e perduta. La vasta opera poetica del Mevlana - detto anche semplicemente Rumi per aver scelto di vivere nel Sultanato del Rum - è composta in lingua persiana ed è stata raccolta dai suoi discepoli e pubblicata con il titolo Methnewi. [492] Il moderno Stato turco è opera di un uomo, Mustafa Kemal Atatürk, che all’inizio di questo secolo ha saputo condurre il paese verso l’indipendenza e il progresso. [491] L’uomo di Stato al quale è stato conferito nel 1934 il titolo di Atatürk, padre dei Turchi, nasce nel 1880 (o forse nel 1881) a Salonicco con il nome di Mustafa Kemal. Militare di carriera - nella Prima Guerra Mondiale difende con successo i Dardanelli nella terribile battaglia di Gallipoli -Kemal si oppone strenuamente alla spartizione del paese da parte delle potenze occidentali, riuscendo a mobilitare dal cuore dell’Anatolia i movimenti patriottici di resistenza. Nel 1920 ha luogo la prima Assemblea Nazionale ad Ankara ed inizia la guerra di indipendenza per liberare i territori rivendicati dai Greci. I trattati di Losanna e di Versailles del 1923 sanciscono la restituzione alla Turchia di tutti i territori occupati e più di un milione di Greci sono costretti ad abbandonare l’Asia Minore, mentre cinquecentomila Turchi vengono evacuati dalla Grecia per tornare in patria. Da sempre Kemal Atatürk ha manifestato idee riformiste e progressiste e dopo la proclamazione della Repubblica nel 1923ha iniziato il processo di laicizzazione della Turchia: una volta aboliti sultanato e califfato, la capitale viene trasferita da Istanbul ad Ankara, viene istituito un nuovo codice civile al posto della legge islamica e l’alfabeto latino sostituisce la grafia araba. Ad Atatürk si deve anche la riforma della scuola, il processo di emancipazione della donna ed una progressiva industrializzazione del paese. Uomo carismatico dai principi incrollabili e forte accentratore di potere, Kemal Atatürk è stato presidente della Turchia dal 1923 fino al 1938, anno della sua morte. [51] La Turchia è un paese molto vasto che ha conservato le testimonianze di oltre cinquemila anni di storia ed è abitato da numerose etnie diverse tra di loro per tradizione e costumi, per cui non è facile comprendere questa terra nella sua complessità. Tuttavia si può procedere per piccoli passi, cercando di cogliere dei frammenti di storia - siano essi i monumenti, la natura, gli oggetti o gli uomini nel loro quotidiano - per scoprire questo straordinario paese. [511] Vi sono città o luoghi che per qualche misteriosa ragione rimangono esclusi dagli itinerari turistici, eppure possiedono dei monumenti bellissimi che meritano una visita. [5112] Una delle città cenerentola è proprio Ankara, la capitale ufficiale della Repubblica turca, una metropoli moderna, anche se di antichissime origini. [5111] La città venne fondata nel VII sec. a.C. dal re della Frigia, Mida e divenne I sec. d.C. capitale della provincia romana di Galatia con il nome di Sebaste. La cittadella di Ankara venne assediata e occupata da molti eserciti - dai Selgiuchidi, dai Crociati, da Tamerlano - ed infine dominata dal Sultano ottomano Orkhan. Il volto della città è quello tipico di una capitale economico- amministrativa, cresciuta a dismisura dal giorno in cui Kemal Atatürk la scelse, nel 1920, come centro strategico del giovane Stato turco. Comunque Ankara merita una visita per le sue numerose iniziative culturali e per i suoi musei, prima fra tutti lo splendido Museo della Civiltà Anatolica che possiede le più importanti collezioni archeologiche di tutta la Turchia: preziosi reperti dell’età preistorica, della civiltà hittita, urartea e frigia, tra cui il celebre Tesoro d’oro di Creso, leggendario re della Lidia del VI sec. a.C. [5122] Bursa - chiamata anche città verde per i numerosi giardini e le maioliche turchesi che rivestono le moschee - si trova sul Mar di Marmara ed era la prima capitale ottomana prima della conquista di Istanbul. [5121] La Yesil Camii, la moschea verde, venne eretta nel 1424 dal sultano Mehmet Ie costituisce, con le sue scuole, il mausoleo e l’hammam, una delle prime Külliye, i complessi religiosi e culturali che caratterizzano l’architettura ottomana. Nella Yesil Türbe, il mausoleo rivestito interamente da luminose maioliche verde- azzurro, sono sepolti il Sultano Mehmet I con la sua sposa ed i tre figli, mentre nella Medrese, l’ex-scuola coranica, è stato allestito il museo della città. Grandioso è anche il complesso della Muradiye, circondato da un vasto cimitero con splendidi mausolei dove riposano il sultano Murat II ed i principi di molte generazioni. [5132] Edirne, fondata nel II sec. d.C. dall’imperatore Adriano con il nome di Adrianopoli, sorge sul confine con la Bulgaria e con la Grecia - il paese che i Turchi chiamano ancora Yunanistan terra degli Ioni – e divenne, durante il dominio ottomano, il più importante avamposto per la difesa dei territori settentrionali. [5131] Come Bursa, anche Edirne fu capitale provvisoria dell’Impero ottomano prima della caduta di Costantinopoli e venne colmata di splendidi edifici come la l’Eski Camii, la Muradiye Camii e il sontuoso complesso religioso del sultano Beyazit II costruito nel XV secolo. Il fulcro della città è la Selimiye Camii, la grandiosa moschea costruita tra il 1569 e il 1575 dall’architetto Sinan per il sultano Selim II. Sinan aveva circa ottant’anni quando realizzò questa moschea, che egli stesso considerò il suo capolavoro affermando che tutti gli altri edifici finora progettati erano soltanto degli esercizi ben eseguiti. [521] Nell’XI secolo, i Selgiuchidi, dopo aver conquistato vaste terre dell’Anatolia, elessero come capitale Konya, al centro del Sultanato del Rum. La città sorgeva sulle rovine dell’antica Iconio romana in mezzo ad un’inospitale steppa e divenne uno dei centri culturali ed economici più prestigiosi della Turchia. [5211] Il più celebre dei sovrani selgiuchidi, Ala-ed Din Kaykobad, che visse all’inizio del XIII secolo, era un grande promotore delle arti e delle scienze e durante il suo governo la città venne colmata di splendidi edifici. Per costruire la moschea e il mausoleo del Sultano venne chiamato un architetto di Damasco che realizzò un imponente edificio riutilizzando le colonne e i capitelli degli antichi monumenti romani e bizantini. Molte scuole di teologia sono state ora trasformate in museo, come l’Ince Minare Medresesi, una delle costruzioni più belle dell’architettura selgiuchide, dal portale ornato da larghe fasce di pietra scolpita con rilievi calligrafici. [5221] Tra gli studiosi persiani che vissero alla corte di Ala-ed Din Kaykobad vi fu il sufista Mevlana Djelal ed-Din del Khorassan, maestro e fondatore del misticismo islamico turco. Il convento- santuario con il suo mausoleo è uno dei luoghi più sacri del sufismo mondiale, costruito nel cuore della città e visibile da lontano per la lucentezza della cupola e per il minareto rivestito da maioliche turchesi. Nel mausoleo e nella sala dei sepolcri, con i cenotafi ricoperti da preziosi velluti ricamati in oro, convengono ogni giorno migliaia di pellegrini da tutto il mondo islamico. [5231] Il giorno della morte del Mevlana, il 17 dicembre, si svolge nella sala della Sama la rituale danza dei dervisci, monaci sufisti. L’origine di questa danza, paragonata al volo delle farfalle intorno alla luce, risale alla leggenda secondo cui il Mevlana, ascoltando il suono di un flauto, ruotò intorno a se stesso fino ad entrare in trance per potersi congiungere spiritualmente con un discepolo morto prematuramente. Vestiti di bianco, i dervisci alzano la mano destra - la mano buona - verso il cielo e la mano sinistra - la mano dell’impurità - verso la terra, chinano leggermente la testa e con gli occhi socchiusi danzano ruotando sempre intorno all’asse del proprio corpo. I loro volti esprimono la felicità dei sognatori e dei dormienti e si dice che in quel momento i dervisci fluttuanti emanino forze magiche. [5241] Il sufismo nacque ai tempi del primo Islam dagli insegnamenti di carità, di povertà e di rinuncia ai beni materiali, per cui un uomo alla sua morte non deve lasciare altro che il suo mantello ed il suo cammello. L’ideale di modestia e di esclusiva ricchezza interiore fu alla radice del pensiero sufista - dalla parola sufi, il panno di lana che costituisce l’unico vestito del viandante - e si diffuse rapidamente in Persia, dove, nel IX secolo, si formarono le prime confraternite religiose, votate alla meditazione e alla ricerca spirituale e mistica di Dio. Il sufismo si sviluppò in contrapposizione alla dottrina tradizionalista degli Ulama, i giudici dell’Islam, e vide tra i suoi maestri grandi eruditi, teologi, studiosi e poeti come il Mevlana, Ibn al-Arbi e Al Ghazzali che tra il XII e il XV secolo crearono numerose scuole e conventi. Le confraternite godevano di grande prestigio nel mondo musulmano ed in Turchia i maestri sufi di Istanbul avevano il privilegio di insignire i sovrani con la spada di Osman, appartenuta al fondatore della dinastia ottomana. Ufficialmente in Turchia non esistono più confraternite religiose, ma per i dervisci del Mevlana è stata fatta un’eccezione. [531] L’architettura ottomana nasce alla fine nel XIV secolo ed è inizialmente influenzata dall’arte selgiuchide proveniente dall’Asia centrale e dalla Persia. Il periodo di maggiore attività e di migliore qualità edilizia corrisponde al regno di Solimano il Magnifico, nel XVI secolo, quando l’architetto Sinan stabilisce i canoni dell’architettura ottomana che serviranno da modello per le generazioni future. [5312] Vi sono infinite varianti nell’architettura delle moschee, tuttavia esistono delle regole strutturali che la Camii ottomana deve rispettare per rispondere alle necessità del culto islamico. [5311] Generalmente la moschea consiste in un grande edificio quadrato o rettangolare con ampia cupola centrale, preceduto da un cortile con al centro la fontana delle abluzioni, dove il credente si purifica prima di pregare. Sugli angoli della moschea s’innalzano uno, due o anche più slanciati minareti - in turco minare, faro di luce - da cui il muezzin invita i fedeli alla preghiera cinque volte al giorno. L’interno è di una spazialità generosa, priva di arredi, con le pareti rivestite da faience e con il pavimento interamente coperto da tappeti. Immensi lampadari di bronzo e cristallo scendono dal soffitto ed illuminano la sala di preghiera, i corridoi laterali e le colonne che sorreggono la cupola e le semicupole. Sulla parete orientata verso la Mecca e verso la sacra pietra nera della kaaba è ricavata la nicchia del Mihrab, ornata da maioliche e calligrafie, mentre accanto si eleva il Minbar, una cattedra finemente scolpita da cui vengono pronunciati i versi del corano. La moschea ottomana è luogo di aggregazione ed è quasi sempre inserita in un vasto complesso, la külliye, che comprende la medrese (le scuole di teologia), l’imaret (la mensa per i poveri), la biblioteca ed anche un ospedale, un ospizio e varie strutture assistenziali. [5322] Sovrani, principi, regine, visir, santi e uomini illustri vengono sepolti nelle türbesi, i mausolei che trovano accanto alla moschea, nei cimiteri o in luoghi isolati. [5321] Sono sepolcri monumentali, spesso di forma cilindrica o ottagonale, sormontati da un tetto a cupola, a piramide o conico, per ricordare le tende dei nomadi delle steppe usate dai Selgiuchidi che provenivano dall’Asia centrale. Talvolta il sepolcro - coperto da broccati e velluti - è protetto da robuste grate in bronzo dorato davanti alle quali sfilano i devoti. La türbe è sempre meta di ferventi pellegrinaggi di uomini e donne che chiedono la benedizione dei santi. [5332] La più importante via carovaniera che attraversava la Turchia era la Via della Seta che dalla Cina passava per la Persia per poi proseguire verso Erzurum e la Cappadocia fino a raggiungere Istanbul ed il Mare Egeo. Cariche di merci preziose ed e oste alle razzie dei predatori, le carovane avevano bisogno di un ricovero a tappe regolari, costituito dal caravanserraglio. [5331] L’Han turco somiglia ad un castello o a una fortezza protetta da alte mura, con torri di guardia e un unico grande portale d’ingresso per far passare gli animali e le merci. La cittadella all’interno era totalmente autosufficiente: vi erano cisterne, bagni, cucine, vasti magazzini dove scaricare le mercanzie, ricoveri per gli animali e, ad un livello superiore, gli alloggi - vasti dormitori o singole stanzette - per gli uomini. Ogni Han possedeva un moschea, certe volte innalzata su un podio al centro del cortile per non far avvicinare gli animali, altre volte inserita nel muro del piano superiore dell’edificio. Il caravanserraglio è molto più di un semplice campo- sosta: era un luogo d’incontro tra uomini di diverse culture e lingue, di scambi sulle esperienze di viaggio, di commercio ed era centro di assistenza e di solidarietà. [5342] Alla base della ricchezza e della fortuna dell’Impero Ottomano c’era il commercio, un esercizio nel quale i popoli dell’Asia Minore sono maestri. Il bazar è un microcosmo, un luogo di gioia e di stordimento, insostituibile centro di scambio di merci e di idee, tanto che in passato i viaggiatori ed i cronisti musulmani giudicavano la bellezza e l’importanza delle città dall’ampiezza del bazar e dalla generosità delle sue merci. [5341] Il bazar è strutturato come un quartiere, sia che si trovi all’aperto con vie interminabili fiancheggiate da negozi, sia che si tratti di un unico complesso coperto da cupole che lasciano filtrare l’aria e la luce da centinaia di oblò nelle cupole. Alle varie corporazioni di commercianti e artigiani vengono assegnati dei settori distinti dove possono esercitare il loro mestiere nelle piccole botteghe lungo le gallerie illuminate, esponendo la merce nelle vetrine e sulla via. Ogni bazar possiede le sue moschee, gli hammam, i caffè e le sale da tè come se fosse una piccola città. Non si viene nel Bazar soltanto per acquistare, ma per assaporare il profumo delle spezie, per passeggiare, guardare, incontrarsi, conversare e discutere non solo di denaro, ma degli eventi del giorno, delle vicende familiari e del destino dell’uomo in genere. [542] Nella casa turca tradizionale e, precedentemente, nelle tende dei nomadi, il tappeto è l’arredamento più importante: ci sono tappeti sui pavimenti, sulle pareti, sulle cassapanche e nel luogo di preghiera. L’arte della tessitura del tappeto è l’orgoglio della Turchia e ogni regione ha conservato le proprie tradizioni artigianali che tradiscono l’origine del tappeto attraverso la grande varietà di motivi ornamentali, di colori e di tecniche. [541] Al tempo dei nomadi la fabbricazione dei tappeti era una necessità: servivano non soltanto per coprire la terra battuta, ma per rinforzare l’interno dei teli della tenda, oppure venivano usati come mantelli, bisacce e culle per i bambini. Il kilim era originariamente destinato al solo uso domestico ed è un tappeto piatto e robusto, non annodato, che presenta una grande varietà di disegni decorativi e simbolici: un fiore stilizzato esprime benessere, gli occhi allontano la malasorte, una spiga rappresenta la nascita ed il segno dello scorpione significa forza e libertà. Il tappeto annodato alla turca, come viene chiamato il nodo di Ghiordes - una regione famosa per i suoi tappeti - possiede invece un vello folto e morbido e viene lavorato su un telaio verticale. Tra i tappeti più pregiati vi sono quelli delle regioni orientali, con motivi geometrici e floreali o ispirati al culto religioso, che riproducono simboli religiosi come la kaaba della Mecca, il mihrab o l’albero della vita. [552] La Turchia possiede una miriade di musei, ed ogni sito archeologico è dotato almeno di un piccolo antiquarium che espone i reperti provenienti dagli scavi locali, spesso costituiti da oggetti rari e preziosi. [551] Certamente il Museo più celebre è quello delle Civiltà Anatoliche di Ankara con oggetti che vanno dalla preistoria all’età classica ed è indispensabile visitarlo se si vuole comprendere la grandiosità delle antiche popolazioni, di cui spesso possiamo vedere soltanto poche pietre delle fondamenta sopravvissute nei luoghi d’origine. Tra i Musei archeologici più ricchi troviamo quello di Selçuk, che presenta la statuaria greca e romana di Efeso, quello di Konya con gli splendidi sarcofagi romani scolpiti con le fatiche di Ercole, quello di Istanbul, accanto al Topkapi, che possiede i maggiori ritrovamenti d’età classica, tra cui il Sarcofago di Alessandro, un capolavoro di scultura a rilievo trovato a Sidone, e il Museo di Afrodisia, che conserva una delle più belle collezioni di statuaria marmorea greca e romana. Non vanno dimenticati i piccoli Musei nell’Anatolia orientale come quello di Erzurum che espone tanti frammenti, vasellame e idoli della preistoria e della cultura urartea, e il Museo di Van, dove sono raccolti i reperti delle cittadelle urartee sparse intorno al Lago. [561] Gli altipiani dell’Anatolia centrale si estendono come un’enorme sella tra i massicci montuosi del Tauro e la catena dei monti del Ponto. Tra aride steppe, foreste, rocce e pascoli si è formata una popolazione abituata ad una vita di privazioni, in eterna lotta contro le avversità di una natura nemica. Il mondo contadino costituisce da sempre l’ossatura della popolazione turca, tradizionalmente legata alla pastorizia e all’allevamento, e anche se ai nostri giorni le condizioni di vita sono migliorate, si avverte la fatica ancestrale con la quale i contadini sono riusciti a strappare a quel suolo poco generoso ogni più piccolo terreno coltivabile. [5611] Le steppe e le montagne sono scarsamente popolate e anche poco sfruttate dal punto di vista agricolo. I grandi possedimenti di tipo feudale non esistono più da quando, alla metà del nostro secolo, le terre sono state assegnate ai contadini e così, accanto ai villaggi tradizionali dalle case di pietra grezza, di legno e di argilla, sono nati numerosi nuovi insediamenti e case coloniche sparse negli altipiani. Per superare i rigidi inverni, accanto alle case si accumulano cataste di letame animale disseccato e mescolato alla paglia che costituiscono un ottimo combustibile in mancanza di legname. Il poeta Nazim Hikmet così descrive con poche, ma efficaci parole un villaggio degli altipiani: Quattro rioni, seicento case, mille abitanti, sotto- prefettura, commissariato, ufficio militare, oste, fornaio, fabbro, sellaio, stagnaro, merciaio, campi, giardini - fatica da crepare e caffè al pianoterra, camere al primo piano, tre locande.” (dal poema Paesaggi Umani, nell’originale turco Izan Manzaralari) [5621] Accanto ai villaggi dove vivevano i contadini e i pastori sedentari, apparvero dal IX secolo i nomadi, con le loro tende e le loro greggi. Ancora oggi piccoli gruppi nomadi si muovono tra le steppe ed i monti, ma sono sempre meno numerosi e sono diventati in parte stanziali. Nel periodo della transumanza percorrono anche più di cento chilometri per portare le greggi dalle steppe ai pascoli di montagna. L’uomo della steppa divento tutt’uno con la natura arida e selvaggia e il poeta Nazim Hikmet lo descrive come una creatura fragile e diffidente: Sono sicuro che egli viene dalla steppa, ha persino paura di appoggiarsi all’albero. Sono sicuro che viene dalla steppa, dall’interno. La steppa imprime il suo marchio sull’uomo. (dal poema Paesaggi umani) [5631] L’aridità, la siccità, il silenzio della steppa sono l’ambiente prediletto dallo scrittore contemporaneo turco Yashar Kemal. Il suo romanzo Il cardo inizia con queste parole: I cardi crescono in terre aride e secche. Terre bianche, candide come ricotta, dove non spuntano né alberi, né erba, né fichi d’India. Eppure i cardi crescono rigogliosi e fitti, sino a ricoprire ogni palmo di terreno. Nei terreni fertili e dissodati non attecchiscono: da qui il detto che ai cardi non piace la buona terra... Scendendo dal Tauro la terra è immersa nel silenzio, non si sentono né il verso dell’uccello, né il brusio dell’acqua, né voci umane. (da Il cardo, nell’originale turco Ince Mehmet) La steppa è anche il tema preferito del poeta Nazim Hikmet, dove la natura arsa si fa carico della disperazione dell’uomo: A perdita d’occhio, la terra tutta nuda e piatta e amara come un peperone rosso. ... Se sulla steppa errava ancora il profumo del timo ingiallito le eriche erano già secche da molto e i cespi non erano più che sterpi. ... Nella steppa, grilli e cicale cantano la più disperata delle canzoni. (dal poema Paesaggi Umani)